Firenze, Venezia e Roma enormi scenografie teatrali

 

Il paese più bello del mondo, le città più belle del mondo. Siamo il meglio in tutto. In realtà noi siamo un immane deposito di retaggi culturali che hanno condannato l’Italia ad essere obsoleta e superata da tutti. Città come Venezia, Firenze, Roma, non hanno saputo coniugarsi con la contemporaneità e sono restate, tutte, nessuna esclusa enormi scenografie teatrali, novelle Cinecittà o meglio Bollywood. Non si indignino i miei lettori: io amo molto Roma e Firenze (meno Venezia) o Verona, però mi sento a teatro.

E tutta l’Italia è questo tragicomico teatro, di cui tutti ci siamo beati, pensando fosse un universo infinito ed eterno, il nostro petrolio, direbbero i politici, e che bastava sedersi al sole per vivere alla grande. Ma come si può pensare che queste città, assalite da torme sudate di turisti con infradito e ombrellino che si trascinano faticosamente a Piazza San Marco o nel colonnato di San Pietro, o agli Uffizi, senza entusiasmo e senza energia, possano, intrappolati da qualche pacchetto turistico di agenzie turistiche senza ritegno, essere il nostro futuro?

Invece è bastata la vispa Chiara Ferragni, per farci capire quanto siamo obsoleti e che dal ‘500/’600, l’Italia si è fermata. Un po’ come la Grecia. Tutta la storia dell’arte, con l’esclusione di alcuni eletti che sono in grado di contestualizzarla e dunque di capirla, diventa un enorme fumettone per torme di turisti che cercano solo un po’ di ombra. E profondamente disinteressati. La Cappella degli Scrovegni o la Cappella Sistina rappresentano ai nostri occhi profani di arte antica (e siamo la maggior parte) i Cartoons più affascinanti del Rinascimento. In realtà sono stati dei grandi generatori di idee, spiritualità, energia e cultura nel loro tempo, ma oggi sono immagini morte. Bellissime immagini, dalle evocazioni incredibili e talvolta esoteriche, che ti lasciano senza fiato ma che non hanno alcun rapporto con la nostra cultura. È come rifugiarsi nel mondo delle fiabe. E da quegli anni le città italiane, con la loro architettura e l’urbanistica, si sono sedute. Si è ripreso a pensare alla città nuova negli ultimi cinquanta anni, ma con danni irreparabili per la vita sociale e per la nostra salute. Non si può gettare un ponte dal ‘600 per collegarlo all’oggi, come si è costretti a fare, con disastri ambientali, ecologici ed economici irreparabili.

Nella nostra cultura non esiste una continuità tra Rinascimento e contemporaneità e si è costretti a saltare da Giotto a Maurizio Cattelan senza altri punti di riferimento.

Io ho sempre amato New York, che considero la città più bella del mondo, perché è un grande laboratorio di tutto e sempre. La grande mela non si ferma mai, con le sue idee, progetti, realtà nuove. E nemmeno con i suoi errori.

Per questo mi sento frustrato quando la politica ci costringe a dire che siamo i meglio in tutto. Invece siamo gli ultimi: nella cultura (grazie al concetto arcaico che continuiamo ad esaltare), nella scuola, in economia e forse anche nella sanità. Ma non sarebbe il caso di rivedere il concetto di cultura? Ne riparleremo a settembre.

 

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