Firenze. «Affogati dai tavolini. La città non offre spazi o alternative»

Sergio Givone: il Comune ha un problema di sudditanza con i privati e non si è organizzato bene. Non si è imparato a gestire le masse»

 

«Firenze ha un problema di spazi. E chi la governa dovrebbe farci i conti. Pensarci quando dà il liberi tutti ai tavolini, quando cerca di governare i fenomeni sociali, come accade in Santo Spirito. Anche quando organizza gli eventi dell’Estate Fiorentina. La consapevolezza dello spazio è la chiave». Per il professor Sergio Givone, questa chiave di lettura è poco compresa quando si parla di temi legati alla movida, al rapporto tra attività commerciali e esigenze dei cittadini, di cultura dell’alcol e di cultura che si oppone all’alcol.

Professor Givone, finora si è ragionato come se il punto fossero le persone, non gli spazi.

«Le ipotesi sono due: o diciamo che non abbiamo imparato niente, che se non ci abbandoniamo alla caciara per strada non sappiamo come vivere la città. Oppure diciamo che è la città che si è dimostrata incapace di offrire alternative all’altezza. Io propendo decisamente per la seconda ipotesi».

L’alternativa dovrebbe essere l’Estate Fiorentina con le sue piazze piene di «cose da fare» e di socialità «controllata»?

«Ma a parte il fatto che sta iniziando in questi giorni, e valuteremo cosa riesce a fare, anche se l’offerta culturale c’è, spesso gli spazi non sono adeguati a farla fruire. E soprattutto c’è un importante fetta di cittadini che non è interessata a un concerto o a una presentazione di libri».

La famosa movida…

«La domanda è: cosa ne vogliamo fare della massa a cui non interessa niente dell’offerta culturale? Che vada tolta dalla strada, è ovvio. Ma per riuscirci devi mettergli a disposizione degli spazi adatti, e fatti in modo che siano invogliati a comportarsi bene».

Per esempio?

«Secondo me il modello virtuoso e da replicare è quello delle Murate, con il Caffé letterario e tutto quello che c’è intorno. La gente ci va essenzialmente per bere, ma si trova in un contesto che non favorisce comportamenti incivili come accade in Santo Spirito, si ferma ad ascoltare della buona musica, anche presentazioni di libri. Anche se rimane un luogo essenzialmente legato al bere. Ce ne vorrebbero di più di Murate, in tutta la città».

Chi vive la piazza con le modalità viste a Santo Spirito, difficilmente potrà essere spogliato della caciara.

«Il bisogno di caciara di alcuni settori della società non può essere solo repressa, ma va trasformata, soprattutto incanalata, in spazi adatti appunto. Il buco nero di Sant’Orsola, mio vecchio pallino, sarebbe perfetto per replicare un esperimento come quello delle Murate».

Sfioriamo l’utopia?

«L’alternativa è rifarsi a Sant’Agostino che parlava di una “massa damnata” e militarizzare la città, reprimere con la forza. Ma un’amministrazione a guida Pd non può e non dovrà mai farlo. Quindi ben venga l’utopia. Sapendo che forse il problema resta ineliminabile, ma comportandoci come se non lo fosse».

Cosa deve fare un’amministrazione di sinistra?

«Investire. Tanto, tanto di più di quanto sta facendo, in strutture e attività sociali. Avete visto che la Manifattura Tabacchi funziona? Perché lì è stato investito tanto».

Ma quelli sono soldi privati.

«Eccolo il punto: la sudditanza della politica al potere economico privato. Come ha fatto La Pira a costruire quello che al tempo sembrava un miracolo, l’Isolotto? Mica con i soldi dei privati, ma con quelli che venivano da Roma».

Altri tempi, professore. Oggi lo Stato ha meno capacità di erogare risorse.

«Ci sarebbero tutti i milioni del Recovery Fund».

Ma quelli per adesso vanno allo stadio Franchi.

«Un altro caso della stessa sudditanza: questa volte nei confronti di un imprenditore a cui nessuno ha ancora detto che non viviamo nel film di Totò dove l’americano si compra la fontana di Trevi. Senza questa sudditanza sono convinto che la mia amata Sant’Orsola oggi sarebbe già splendida come le Murate, o anche meglio».

Poi c’è il grande tema dei tavolini. Tavolini ovunque. Che quasi non si cammina più. Che fare?

«Quando parlavo di spazi mi riferivo anche a questo. La nostra è una città con marciapiedi e strade strettissime. Non puoi affogarli così».

Il Comune aveva bisogno di lanciare un segnale di ripartenza: il via libera ai tavolini doveva essere una spinta per il settore della ristorazione.

«Il Comune ha offerto il dito e i ristoratori si sono presi tutto il braccio. Ci risiamo al problema della sudditanza, questa volta nei confronti dei ristoratori. Come con le boutique di via Tornabuoni in passato. Il principio è lo stesso. Palazzo Vecchio ha dimostrato di non sapersi organizzare bene su questi temi. Non si è posto il problema di come e dove incanalare alcune esigenze sociali, tra le quali anche lo svaccamento dei ragazzi di Santo Spirito. Che si tratti di pizza e birra, di bistecca alla fiorentina o di musei, la città non ha mai imparato a gestire le masse».

Gestire gli adepti della «religione dello spritz» non è banale.

«Quelli non sono nemmeno cattivi. Sono solo dei sempliciotti, si accontentano di poco e va bene così. Non possiamo pensare che tutta l’umanità sia fatta di Thomas Mann e di Albert Einstein che si ritrovano a parlare dei massimi sistemi. Anche i bamboccioni hanno diritto a vivere la città. Concediamogli di essere quello che sono».

 

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