Sono meno popolari di impressionisti e futuristi. Eppure Previati, Segantini e gli altri del movimento cambiarono la pittura, in Italia e non solo, raccontando gli “ultimi” all’alba del XX secolo
embra che le superflci dei quadri giochino con gli occhi. Oggi come allora. Le immagini si aprono e ricompongono sulla retina degli spettatori, comunicando percezioni sensoriali e mobili oltre che figure e scene. Quelle dei divisionisti sono opere di luce. Una luce potente e dinamica, che costituisce sia il segno sia la materia dei quadri. Di fronte alFimmensa Maternità di Gaetano Previati, che apre la mostra dedicata al divisionismo in corso al Castello Visconteo Sforzesco di Novara fino al 5 aprile, si prova il medesimo stupore vissuto dal pubblico della Triennale di Brera del 1891, debutto ufficiale del movimento. Ci vollero due anni di lavoro per questo quadro che è un’allegoria sacra e profana della prima madre e immerge nella dimensione del sogno, caratteristica di Previati: brevi pennellate tratteggiano un cielo di puntini e virgolette per poi allungarsi come una pioggia in figure e quindi in erbe.
Certo, già era cominciato da qualche anno il lavoro di smaterializzazione pittorica degli impressionisti francesi, ma qui lo studio della resa del tratto e dell’accostamento cromatico era scientifico e tecnico, basato sulle leggi dell’ottica, non solo emotivo. E poi la realizzazione delle opere avveniva in studio, non eri plein air. ogni quadro era un lunghissimo ed elaborato lavoro di giustapposizione di colori, i cui toni dovevano essere complementari secondo il prisma, per creare vibrazioni e profondità di piani. Un’avanguardia – la prima tra tutte – oltre che di Olga Gambari
una rivoluzione, per un grande movimento artistico, italianissimo oltre che francese, che ancora oggi stenta ad affermare la sua importanza. Forse perché sono pochi i musei ad avere in collezione opere divisioniste, raccolte soprattutto da privati. Eppure celebri sono i nomi, da Gaetano Previati, che ne fu teorico della tecnica e dell’estetica, a Giovanni Segantini, da Angelo Morbelli a Pellizza da Volpedo.
All’inizio fu la Scapigliatura, in quella Milano del secondo Ottocento dove un gruppo di intellettuali e artisti entrò in rivolta contro la società borghese e l’arte che la celebrava. Lì avvenne il distacco e l’ipotesi di un’arte nuova, diversa nello stile, nell’estetica, nei temi. Tra sogno e realtà, simbolismo e attenzione per il sociale, le immagini erano frammentate nel loro manifestarsi, colte con una magia che ne schiudeva il segreto proprio in quella resa sospesa, dove osservazione e riflessione trovavano tempo e spazio.
La mostra Divisionismo. La rivoluzione della luce, a cura di Annie- Paule Quinsac, racconta l’evoluzione del movimento passo dopo passo, dall’esordio nella Scapigliatura alle ultime generazioni, quelle che si opposero alla rottura violenta del Futurismo, come Carlo Fornara, che fu assistente di Segantini (in mostra anche Vespero d’inverno del 1912, opera scomparsa da quarantanni e rintracciata in una raccolta privata).
C’è l’avventura della scuderia dei fratelli Alberto e Vittore Grubicy, imprenditori e mercanti – il secondo anche critico e artista che diedero forma al movimento con una mostra a Londra nel 1888 e mettendo sotto contratto
un gruppo di giovanissimi arti-
Tra loro Segantini, uscito analfabeta dal riformatorio a quattordici anni, che esprimerà nel paesaggio e nella vita contadina l’intensità e la sensualità del mondo reale (sembra di sentire un tepore emanare dal suo All’ovile) aggiungendo alla tavolozza divisionista i riverberi dell’oro e dell’argento per catturare ancora di più la luce. Ed Emilio Longoni, che si dedicherà alla denuncia sociale dopo essersi unito a gruppi socialisti milanesi: un manifesto Riflessioni di un affamato con il giovane disoccupato che osserva una coppia seduta dentro a un ristorante di lusso. Un percorso di impegno condiviso anche da Plinio Nomellini, voce per immagini delle tensioni operaie nei cantieri navali di Genova, che li porterà ad essere inquisiti e processati per ideologia anarchica nel 1894.
Una sala è dedicata alla neve, amata dai divisionisti per quel suo bianco acromatico, colore non colore che conteneva tutte le sfumature del prisma, dove appare un’incantata scena notturna di Pellizza, tra le ultime opere prima del suo suicidio nel 1907. Una natura panica che per Pellizza rappresentava un microcosmo di emozione intensa e parlava del destino comune dell’uomo, dell’eterno ritorno ( struggente la scena dell’operaio morente in Sul fienile, con il contrasto tra la penombra tutta umana del riparo e la luce eterna dell’esterno), mito nietzschiano anch’esso caro ai divisionisti.
Eppure nel suo epico Quarto stato, insieme alla folla di braccianti, era già in marcia quel Novecento che, con le sue avanguardie impegnate a voler rifondare il mondo, avrebbe ingoiato e fatto proprio il divisionismo.