Ultimo ad arrivare a Parigi, il ferrarese Filippo De Pisis (1896-1956) fece parte di quel gruppo di artisti italiani passato alla storia con il nome Les Italiens de Paris (insieme ai fratelli De Chirico, Severino, Tozzi, Campigli e Paresce): un manipolo di sognatori italici che ruba ben presto la scena agli artisti francesi, che per invidia prendono a chiamarli “metechi”. Frequentano Montparnasse, dall’altro lato della Senna rispetto a Montmartre, e lavorano in atelier di fortuna (delle cascine di legno in realtà) senza acqua né elettricità. Si ritrovano soprattutto alla Closerie de Lilas con Picasso, Chagall, Miró, Guillaume Apollinaire, Paul Fort, che di Alberto Savino diventò suocero e gira con un papero al guinzaglio. A questi sette italiani si deve un ventennio irripetibile: Parigi fu la madre dell’invenzione italiana dell’arte moderna.

Di Filippo De Pisis si dice fosse il più anarchico e autonomo tra tutti, ha sfiorato molte correnti tra cui la pittura metafisica senza però appartenervi. E si racconta fosse un tipo scorbutico (addirittura, una sera durante una festa in maschera nell’atelier del pittore Gregorio Sciltian, lui vestito da carrettiere trasteverino e Alberto Savinio fecero a botte), e forse per questo venne con più facilità obliato dalla critica. Tuttavia, oggi viene magnificamente raccontato dalla generosa esposizione De Pisis al Museo del Novecento di Milano (a cura di Pier Giovanni Castagnoli e Danka Giacon, fino al 1° marzo), in cui ammirare il suo riconoscibile tocco pittorico, volitivo e stravagante.

A lasciare ammirati non sono soltanto le celebri nature morte: così sollevate dal peso delle regole dello spazio come Natura morta occidentale e Natura morta con le uova, o fluttuanti di atemporalità come Pesci sacri. Non dunque solo le grandi tavole paesaggistiche quali L’archeologo, Ponte di Rialto o Grande natura morta in cui un cielo dalle policromie apocalittiche sembra quasi stia precipitando.

Ma anche (e soprattutto) i ritratti: nella scelta dei colori e nelle generose pennellate che solcano con forza i volti di Uomo dal cappellone, Vecchio o Il marinaio francese, De Pisis getta tutto l’arcipelago dei sentimenti dell’esistenza, tale che le figure sembrano pronte a gridare, stupirsi, ridere, piangere. Alla mostra milanese va tributato anche il merito di ricordare l’impegno letterario di De Pisis: una sala è appunto deputata a citazioni ed estratti dalle sue poesie e dai suoi racconti, che sono un modo rifrangente di leggere la sua pittura.

Filippo De Pisis Museo del Novecento, Milano – Fino al 1° marzo