Era affamato disperatamente di verità

L’ultimo incontro in estate, un’amicizia nata mezzo secolo fa. Emanuele ha illuminato l’essenza del nostro presente più di tanto sociologismo
di Massimo Cacciari
Ho visto Severino per l’ultima volta all’inizio della scorsa estate in occasione della giornata in suo onore dell’Accademia e dei Collegi di Pavia. Mai avrei immaginato sarebbe stata l’ultima. Ora ricordo in lacrime la prima cinquant’anni fa. Non ero suo allievo; avevo incontrato il suo pensiero leggendo Marx e Heidegger. Tenevamo dei seminari insieme sul rapporto economia-tecnica, e con noi c’erano filosofi e economisti. Fu anche il momento in cui Claudio Napoleoni si incontrò col pensiero di Severino. Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l’essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche.
Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all’Eterno.
Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell’epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino. All’essere- per-la-morte, all’analisi della finitezza dell’esserci nella sua differenza dall’essere, si oppone un pensiero che fonda rigorosamente, logicamente l’idea dell’essente eterno in quanto tale. Per esprimersi con un autore “fatale” (ma anche Severino lo è), Spinoza, potremmo dire che non la Sostanza è infinita e eterna, ma tutti i modi lo sono, tutte le esistenze sono. Ed essendo non possono essere “a disposizione”, non possono essere violate, oppresse, negate. La nostra violenza lo crede. La nostra violenza crede di trasformare a piacere la cosa. La nostra violenza la chiama utilitas.
Ma non è questa la Verità. E di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno.
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