Il diritto esiste per dare certezza alla vita dei cittadini. Perciò viene scritto e pubblicato, fin dal codice di Hammurabi e dai Dieci Comandamenti.
Invece in queste settimane di epidemia, stiamo vivendo un paradossale ritorno alla incertezza del diritto. Con regole che vengono annunciate prima di essere scritte. Come accaduto due settimane fa con la “chiusura” del nord, annunciata prima di entrare in vigore, così da far scappare al sud migliaia di persone, come in un novello 8 settembre. E ancora ieri sera, con il blocco delle attività produttive. Ma quali? Sono passate quasi 24 ore e ancora non abbiamo il testo del DPCM: quindi non sappiamo domani chi lavora e cosa si potrà fare.
Se il diritto è incerto, diventa incerta la vita dei cittadini, che iniziano a credere a voci, dicerie, catene di sant’antonio e diventa sempre più difficile rispettare le regole. Diventa più difficile fidarsi dello Stato. Se lo Stato non parla chiaro.
Così si spiegano le file ai supermercati, sempre più cospicue, malgrado gli inviti a non fare assembramenti. Perché, mentre le regole scritte vengono elaborate, girano voci incontrollate e fake news che fanno spaventare le persone. E le persone reagiscono con gli accaparramenti. Mero sillogismo.
A rendere ancora più incerto il diritto, poi, ci si stanno mettendo presidenti di regione e sindaci, che in nome della salute pubblica e, qualche volta per protagonismo, pongono divieti ulteriori, spesso al limite del fantasioso. In alcune regioni posso fare sport all’aperto, in altre no, in altre ancora solo “in prossimità” del mio domicilio. Ma che significa in prossimità? Sono 100 metri o 1 chilometro?
Questa terribile emergenza ci insegna che dobbiamo essere semplici e chiari, a partire dalle regole giuridiche. Avere leggi univoche, chiare e certe. Anche perché mai come ora noi cittadini abbiamo bisogno di certezza e fiducia.
Altrimenti non faremo che incrementare confusione e paure. Allungando i tempi di superamento del virus.
*Professore di diritto costituzionale nell’Università Roma tre