E parliamo delle bugie degli ex sindaci

di Pierluigi Piccini

Ormai quasi tutto quello che viene finanziato col PNRR si chiama rigenerazione urbana, e questo accresce la confusione.

La dizione rigenerazione urbana  trova nella Regione Toscana sistemazione organica con la legge-quadro LR 65/2014 e ss.mm.ii., art.122 e sg., ma nel linguaggio giornalistico  ogni intervento pubblico, purché finanziato dal PNRR, è assimilato alla rigenerazione urbana.

Quindi vi è una fondamentale distinzione tra programmi di rigenerazione urbana, vedi ad. es. i famosi PinQua a cui Siena non ha partecipato, e i singoli interventi di “rigenerazione urbana” di cui si parla in questi giorni che corrispondono a domande spot fatte con una “logica” molto simile a quella  dei vecchi patti territoriali.

Nel caso oggetto di polemica parliamo della rigenerazione urbana prevista dal PNRR attraverso la Misura 5, componente 2, investimento 2.1 che prevede una pluralità di interventi che spaziano dalle demolizioni di manufatti pubblici fatiscenti fino alla mobilità sostenibile.

Il bando ministeriale, gestito dal Ministero degli Interni (non è un caso), ha  in effetti utilizzato un unico criterio, l’indice IVSM previsto dal punto 2, art. 5, DPCM 21.01.2021 che misura la fragilità dei territori, predisposto dall’Istat.

Nel decreto interministeriale del 30.12.2021 ci sono sia gli interventi ammissibili (Siena rientra tra questi), sia quelli finanziati.

Dalle tabelle ministeriali non sembrano esserci addebiti formali (i CUP sono indicati, e così pure gli indicatori strategici), semplicemente  il valore IVSM  penalizza Siena.

Per capirsi, Siena ha un indice di 98,01 e il finanziamento ha coperto interventi con indice superiore a 98,44. Ciò può significare che nel futuro, se ci fossero delle disdette, la città potrebbe rientrare in graduatoria.

Eventualmente la domanda da fare è un’altra: sapendo che il valore IVSM di Siena è basso, non era il caso di fare una proposta a scala territoriale, visto che il bando in questo caso consente di fare la media degli indici IVSM dei comuni partecipanti? Altrimenti, sapendo che sarebbero stati penalizzati perché hanno comunque partecipato da soli? Questo è uno dei problemi centrali di questa amministrazione, la ricerca costante dell’isolamento che anche in questo caso ha creato disvalore per i senesi. Basta ricordare che il Piano operativo ignora totalmente il rapporto con i comuni contermini.

Infine una riflessione più generale: Siena, anche in questo caso, ha fatto domande per singoli interventi, ma non ha sviluppato una proposta organica riferita ad un territorio (piano di rigenerazione urbana), così come prevede la legge urbanistica regionale. Denunciando una mancanza di visione complessiva e strategica.

La non partecipazione al bando PinQua è stata spacciata per una scelta strategica per il futuro? Ma di quale  strategia si vuole parlare se l’amministrazione si muove nei fatti su singoli episodi molti dei quali provengono dal recente passato? Forse l’Amministrazione comunale intende perseguire solo interventi di rigenerazione (opere pubbliche), riducendo un tema più ampio a ciò che vorrebbe controllare in prima persona: la città fisica con un taglio fortemente economicistico? Viceversa il tema riguarda tutta la città a partire dal centro storico e dai suoi contenitori abbandonati dalle previsioni di Piano, dalle periferie e non solo quest’ultime, in una logica di ricucitura in una visione d’insieme che non trascuri il grande tema del sociale. Diventato sempre più, quest’ultimo, argomento urbanistico: ad esempio, cosa si intende oggi per spazio pubblico?

Alcune periferie, in particolare San Miniato e Taverne, necessiterebbero di una progettualità più ampia e coerente, portando a sintesi opere infrastrutturali, riqualificazione dell’ERP (il tasso di non occupazione degli alloggi è il più alto della Toscana oltre il 13%) e interventi sul sociale. Il centro storico di Siena non è caratterizzato, ovviamente, da un taglio pianificatorio di tipo “capitalistico” a differenza delle periferie. Dove chi ha operato lo ha fatto, viceversa, separando l’abitare dal welfare. Separazione che continua a persistere sicuramente nella cultura di destra, ma che è presente anche in alcune parti del pensiero cosiddetto progressista. Nel presente la questione acquista valori diversi quella dell’abitare con i servizi sociali (il lavoro a domicilio ad esempio) con particolare riferimento alle fasce più deboli. Temi come: la nuova povertà,  le disuguaglianze, il vivere nell’incertezza, le violenze domestiche, l’immigrazione richiedono un nuovo approccio ai problemi legati alla domanda sociale. Una pianificazione che non ha bisogno di punti di vista ideologici che pur continuano a persistere o alla rimozione dei problemi. Alla complessità si risponde con la complessità perché nulla o poco, nel contemporaneo con la critica al principio di autorità, si tiene insieme. Amministrare diventa più faticoso e richiede tempo, molto tempo, capacità di ascolto e di mediazione. Questa è la mia critica, che non è rivolta soltanto all’oggi.

 

 

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