“E ora indaghiamo anche in Italia” Ma i vescovi sono divisi

L’ipotesi di una commissione indipendente scuote la Chiesa Mentre movimenti e associazioni spingono per fare pulizia
di Paolo Rodari
CITTà DEL VATICANO — Una commissione d’inchiesta indipendente sugli abusi sessuali commessi dai preti per fare luce sugli ultimi settant’anni. L’ipotesi scuote la Chiesa italiana, divisa sia sull’opportunità di farla sia sul come farla. Tutto è rimandato a dopo l’elezione di maggio del nuovo presidente della Cei, il successore del cardinale Gualtiero Bassetti. La realtà ecclesiale italiana, insieme a quella spagnola, è quella che maggiormente resiste all’inchiesta. Il tutto nonostante Francesco, chiamando due anni fa le vittime a parlare in Vaticano davanti ai vescovi del mondo, abbia dato un chiaro segnale su quale direzione prendere. Secondo dati non ufficiali, ma che girano Oltretevere, l’Italia è il secondo Paese al mondo per numero di accuse di abusi su minori perpetrati da sacerdoti.
Fra i vescovi che sembrano essere più aperti sull’ipotesi di un’inchiesta ci sono il cardinale Paolo Lojudice, presule di Siena, e l’arcivescovo di Modena Erio Castellucci, entrambi candidati alla successione di Bassetti. Lojudice, che è presidente dell’Osservatorio per la tutela dei minori “Fonte d’Ismaele”, ha detto al Resto del Carlino che «un’indagine in Italia serve». «Non ci sono divieti, né muri, né impedimenti alla realizzazione di un’indagine interna sul dramma della pedofilia nella Chiesa ». Così Castellucci: «I tempi sono maturi, via libera a maggio».
Dichiarazioni a parte una cosa è certa: se non sarà la Chiesa a muoversi lo faranno gli Stati. In Spagna questa prospettiva è già una realtà: l’organo di gestione della Camera dei deputati spagnola (la cosiddetta “Mesa del Congreso”) ha ammesso la richiesta da parte di tre partiti di creare una commissione d’inchiesta su casi di abusi su minori commessi nell’ambito della Chiesa cattolica. Ma già in questi giorni il cardinale Gualtiero Bassetti ha fatto capire che la sua idea è di una commissione che cominci a lavorare dall’interno, e dunque dal basso, raccogliendo le informazioni che arrivano dai servizi diocesani per la tutela dei minori. Contro questa ipotesi, però, si sono espressi autorevoli esperti. Su tutti il gesuita Hans Zollner, uno dei maggiori esperti mondiali nel campo della prevenzione degli abusi sessuali, che recentemente al País ha spiegato come sia necessario un lavoro esterno: a Monaco hanno lavorato «avvocati indipendenti che non hanno mostrato il loro lavoro al cardinale, all’arcivescovo o al vicario generale prima della pubblicazione». E ancora: «Indipendenza significa nessuna interferenza. E se ciò è garantito, i risultati possono essere gli stessi».
In Italia molti fedeli laici non sembrano più intenzionati a fare sconti alle gerarchie su questo tema. Il 15 febbraio nasce non a caso il Coordinamento delle associazioni contro gli abusi nella Chiesa cattolica in Italia. Sigle importanti si riuniscono per andare «Oltre il grande silenzio» e lanciano l’hashtag #ItalyChurch-Too. Partecipano l’Osservatorio religioso sulla violenza contro le donne, Donne per la Chiesa, la Rete l’abuso, Adista, il Comitato vittime e famiglie, Voices of faith. In queste ore è Francesco Zanardi, presidente della Rete l’abuso, associazione delle vittime di abusi sessuali da parte dei preti, a dare voce alla delusione dopo la lettera di Ratzinger. «Questa lettera — dice — mi lascia malissimo. E ha tanto il sapore di una cosa pilotata. I fatti di Monaco non li conosco ma conosco purtroppo benissimo quelli di Savona perché io ero la vittima. Malgrado i media italiani avessero scritto che nel 2013 l’allora prefetto dell’ex Sant’Uffizio Ratzinger fosse al corrente dei fatti, poi è scesa una cappa». Nel Coordinamento italiano ci saranno una decina di associazioni, tutte cattoliche «perché anche i cattolici si sono scocciati di tutto questo silenzio».
Dice invece Paola Lazzarini, sociologa e promotrice del network cattolico Donne per la Chiesa, che ha raccolto circa 2 mila firme per chiedere un dossier sul modello francese: «Serpeggia nell’episcopato, da un lato, l’idea sempre più infondata che l’Italia sia al riparo dal problema, grazie a un’identità cattolica del Paese, per la verità ormai solo di facciata, e, dall’altro, si avverte il timore per le possibili conseguenze derivanti dal portare a galla gli abusi. Far emergere i casi non solo crea difficoltà sul piano dei rapporti con la magistratura civile, anche se oggi i chierici hanno l’obbligo morale di denuncia, ma riaccende interrogativi sulla formazione, il celibato e la sessualità dei preti».
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