ROMA – Ancora un giorno di guerra in Ucraina, distruzione e morte. Oggi sono rimasti uccisi sul campo di battaglia anche la giornalista ucraina Alexandra Kurshinova e Pierre Zakrzewski, cameraman irlandese di Fox News. Tra gli scritti cari che conservo c’è una frase di Aldo Moro, tra i padri fondatori della nostra Repubblica ucciso dalle Brigate rosse dopo un lungo calvario: “Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi“. Per questo bisogna rendere onore a chi si batte, giornalisti e non, per la verità e contro le menzogne. Sapendo bene che la verità non è mai neutra, fa sempre male a qualcuno.
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Ieri abbiamo assistito a un atto di coraggio, un momento di verità che rende liberi. Lo dobbiamo a Marina Ovsyannikova, la giornalista russa che ha interrotto la collega che leggeva le finte notizie del Governo al telegiornale nazionale, quando è apparsa in diretta con un cartello: “No alla guerra”, il suo messaggio, “Vi stanno mentendo”. Un gesto eclatante contro la propaganda del Cremlino. La giornalista è stata subito presa in consegna dalla polizia e ha ricevuto una multa di 30mila rubli, circa 255 euro. Poco prima del suo gesto coraggioso, Ovsyannikova aveva messo in rete un suo video spiegando il motivo del suo gesto: “Quello che sta succedendo in Ucraina è un crimine, la Russia è l’aggressore. La responsabilità è di una sola persona: Vladimir Putin. Mio padre è ucraino, mia madre è russa – ha detto – non sono mai stati nemici. Questa collana che porto al collo è simbolo del fatto che la Russia debba subito interrompere una guerra fratricida. Purtroppo negli ultimi anni ho lavorato per Pervyj Kanal, facendo propaganda per il Cremlino. E me ne vergogno. Mi vergogno di avergli permesso di dire menzogne dallo schermo. Mi vergogno di aver permesso la zombificazione dei russi”.
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Adesso bisogna augurarsi che, quando si saranno calmate le acque e la Russia non sarà più nell’occhio del ciclone, Marina Ovsyannikova non venga raggiunta da qualche pallottola di qualche ‘amico’ di Putin. Le sue sono state parole forti, durissime. A Putin che ha scatenato l’esercito per ‘denazificare’ l’Ucraina, la giornalista replica accusandolo di aver ridotto il popolo russo a degli zombie. Per fortuna non tutto il popolo. Perché in tutti questi anni abbiamo visto proteste di piazza e anche nelle ultime ore giovani e meno giovani, a migliaia, sono stati arrestati dal regime perché protestavano contro la guerra, parola che lì non si può nemmeno pronunciare.
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I giornalisti non hanno vita facile in Russia. L’autocrate non li ama e c’è sempre qualcuno dei suoi pronto a sparare alla schiena degli oppositori per conto suo. Il 4 marzo è stata approvata dalla Duma la contestata legge sulla responsabilità amministrativa e penale per la diffusione delle fake news sull’operato dell’esercito russo o in caso di discredito dell’impiego delle forze armate. Le pene previste variano fino ad arrivare, nel caso di gravi violazioni della legge, alla galera dai 10 a 15 anni. Fare il giornalista in Russia è rischioso, molto rischioso.
Il Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), associazione nata con lo scopo di difendere la libertà di stampa e i diritti dei giornalisti in tutto il mondo, cataloga la Russia come “il terzo Paese al mondo per numero di giornalisti morti” dal 1991. Solo Algeria e Iraq la superano nel periodo 1993-1996. Il pensiero corre ad Anna Politkovskaja, giornalista e attivista per i diritti umani in Russia, uccisa a Mosca il 7 ottobre 2006, il giorno del compleanno di Putin, guarda tu il caso. Accusava l’autocrate russo di aver trasformato il Paese in stato di polizia. Nei suoi articoli per Novaja Gazeta, la giornalista criticava apertamente il Governo per le violazioni dei diritti civili e dello stato di diritto. Il direttore del bisettimanale dichiarò che la giornalista stava per pubblicare un lungo articolo sulle torture perpetrate dalle forze di sicurezza cecene. Anna Mazepa, questo il suo nome da nubile, era figlia di due diplomatici ucraini che lavoravano alle Nazioni Unite cresciuta a Mosca, dove si era laureata in giornalismo nel 1980. È una dei 31 giornalisti uccisi in Russia tra il 27 ottobre 1999 e il 2022, ovvero da quando Putin impera.
Negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente anche il numero di giornalisti detenuti, spesso con accuse di attività che andavano contro al cosiddetto bene dello Stato. “… Abbiamo guardato in silenzio questo regime disumano – ha denunciato la giornalista Marina Ovsyannikova arrestata ieri – non basteranno dieci generazioni per ripulire la vergogna di questa guerra fratricida. Siamo russi, siamo riflessivi e intelligenti. Tocca a noi fermare questa follia. Non abbiate paura. Non ci possono arrestare tutti”. Ora tocca al popolo russo.