E Grasso medita di «sospendere» la Commissione d’inchiesta.

di Tommaso Labate

 

ROMA «I lavori della Commissione d’inchiesta sulle banche finiranno non appena le Camere saranno sciolte. Non si può proseguire oltre». Sembra il sigillo su una diatriba apparentemente senza importanza che rimanda ai regolamenti parlamentari di Camera e Senato. Ma la voce che arriva dal piano nobile di Palazzo Madama, dove ci sono gli uffici di Pietro Grasso, è di quelle in grado di infiammare il clima politico.

Perché c’è una nuova guerra sotterranea – oltre a quella che si è combattuta sul rinnovo di Ignazio Visco, oltre alle disfide innescate dalle prime audizioni nella Commissione bicamerale – che si combatte attorno all’organismo presieduto da Pier Ferdinando Casini. E rimanda al braccio di ferro in corso dietro le quinte sulla durata dei lavori.

Il protagonista nascosto, anche in questo caso, è Matteo Renzi. Il leader del Pd, infatti, è convinto di riuscire a trasformare il suo tallone d’Achille in un punto di forza. È convinto insomma che lo stesso “dossier banche” che ha segnato l’inizio della sua parabola discendente adesso può aiutarlo a risalire la china. Perché questo possa succedere, Renzi ha in mente due mosse. La seconda è quella di candidarsi alle Politiche nel collegio di Arezzo, uno di quelli più “feriti” dal caos di Banca Etruria. Lo stesso collegio in cui risiede la famiglia di Maria Elena Boschi, lo stesso che elettoralmente al Pd ha di recente procurato più dolori che gioie.

Ma il piano è monco senza il suo tassello principale. La prima mossa. Che rimanda alla volontà di estendere i lavori della Commissione d’inchiesta sulle banche anche alla campagna elettorale. Delle «rivelazioni scottanti», che riguarderebbero le presunte responsabilità degli organismi di controllo sul caos delle Popolari, nella testa dei dirigenti del Pd devono essere «servite calde» proprio durante la fase cruciale della campagna elettorale. Quindi, anche dopo la chiusura delle Camere. «I posti di lavoro sarebbero stati di più se le banche avessero lavorato meglio. E invece qualcosa non ha funzionato», ha spiegato ieri Renzi nella newsletter inviata agli iscritti al suo sito. E ancora: «Se vogliamo che qualcosa cambi davvero le alte burocrazie di questo Paese devono smettere di buttare la croce addosso ai politici di turno e assumersi anche loro le proprie responsabilità. Chi ha sbagliato, paghi: non è populismo, è giustizia».

Sembra l’alba di un nuovo strappo istituzionale, a poche settimane da quella mozione del Pd su Bankitalia. Ma stavolta, sulla strada del leader del Pd, non ci sono ancora il Quirinale o Palazzo Chigi. C’è, invece, Pietro Grasso. Dopo la posizione attendista messa a verbale da Laura Boldrini, sulla durata dei lavori della commissione Banche la seconda carica dello Stato è pronta a pronunciare il niet: «Non si può andare oltre lo scioglimento delle Camere».

Difficile che Renzi accetti di fare marcia indietro senza combattere. Difficile anche che rinunci al sogno di rovesciare a suo favore la questione banche.

La strada è istituzionalmente impervia. Il presidente della Commissione, Pier Ferdinando Casini, ha sempre rivendicato la sua guida “neutra” che diventa garanzia anche in momenti delicati come la campagna elettorale. Ma bisognerà vedere, di fronte a un clima sempre più aspro, quale percorso deciderà di intraprendere.

Sabato 4 Novembre 2017 Corriere della Sera.

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