Adriana Logroscino
Roma L’estensione del green pass al mondo del lavoro «aumenta la libertà», certifica il ministro per lo Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, facendo sua, più o meno parola per parola, la posizione del presidente del Consiglio Draghi. Il decreto preserva «il rinascimento» economico del Paese, aggiunge il ministro. Matteo Salvini, che ha buttato giù quel decreto come un boccone amaro, ricorda che deve «garantire a tutti coloro i quali hanno fatto una scelta diversa» da quella di vaccinarsi «la possibilità di vivere, studiare, fare sport, volontariato, senza spendere 500 euro in tamponi».
Posizioni inconciliabili tra i due maggiori esponenti della Lega, o sfumature, «opinioni diverse» come le definisce un leghista di lunghissimo corso, Francesco Speroni, evocando gli scontri tra Bossi e Maroni? Non ha dubbi Enrico Letta: dimostrano che esiste Salvini, «irrilevante nelle scelte del governo», e «la parte principale della Lega che, responsabilmente, non lo segue». Pronta la replica del leader leghista: «Letta è disperato, passa il tempo a insultare me e la Lega».
La prima affermazione di Giorgetti, ieri, appena arrivato a Milano per il salone delle calzature, Micam, era stata rassicurante: «Con Salvini andiamo d’amore e d’accordo». Tuttavia è già capitato che l’anima governista della Lega, di cui il ministro è il massimo interprete, si esprima in un modo, mentre nello stesso momento Salvini si distingue parlando in piazza. Forse era inevitabile capitasse al termine della settimana in cui ha visto la luce il decreto sul super green pass contro il quale il segretario della Lega si era pronunciato a più riprese, trovandosi poi costretto a riposizionarsi «accontentandosi» delle aperture sui tamponi: se non gratuiti a prezzo calmierato, e validi, nel caso dei molecolari, per 72 e non per 48 ore. Ma la distanza tra i due stride nelle dichiarazioni di ieri. «Le decisioni difficili assunte dal governo come l’obbligo del green pass sui luoghi di lavoro — spiega Giorgetti — sono volte non a limitare la libertà ma ad aumentarla. Abbiamo varato queste misure per riaprire. L’alternativa era il rischio di tornare a chiudere». Salvini, invece, insiste sui correttivi che ritiene di aver imposto: «Abbiamo dimostrato che se uno lotta ottiene i tamponi rapidi, salivari, gratuiti, sotto costo, senza obblighi vaccinali indistinti. Quaranta milioni di italiani hanno scelto di vaccinarsi, e io fra loro, ma questo non mi dà il diritto di imporre la mia scelta. Ora possiamo contare non ci saranno più lockdown».
Le decisioni difficili assunte dal governo, come l’obbligo del green pass sui luoghi di lavoro, sono volte non a limitare la libertà, ma ad aumentare la libertà
Se la Lega ha due voci, gli alleati non mancano di sottolineare la contraddizione. «Sul green pass — punta il dito il segretario del Pd — Draghi ha fatto le scelte giuste, Salvini no: insegue la Meloni, è in maggioranza e fa opposizione. Ma il governo non lo segue, nell’agenda è irrilevante. E meno male che anche la parte più consistente della Lega ha deciso di non seguire il suo segretario». Anche il leader del M5S, Giuseppe Conte, impegnato a ottenere proprio grazie all’estensione del green pass, l’aumento della capienza di teatri e cinema, bacchetta: «Quando ci si assume una responsabilità di governo bisogna lavorare nell’interesse generale, non per quello di bottega. Auspichiamo la Lega lasci perdere i sondaggi».
La manovra non sfugge a Salvini che controreplica: «Siamo nel governo e non ci muoviamo. È complicato essere alleati di Conte e Letta, ma combatto da dentro. Non lascio l’Italia in mano a Pd e M5S». E oggi approda alla Camera il secondo decreto green pass: nelle scorse settimane, su questo tema, i parlamentari leghisti hanno già votato contro .