di Alberto Alesinae Francesco Giavazzi
Solo poche settimane fa pareva che l’ondata populista (spesso in Europa collegata a un sovranismo anti-europeo) stesse conquistando il mondo. Oggi non è più cosi. Anzi, il movimento populista è in difficoltà. In Italia Matteo Salvini è uscito dal governo per una serie di errori tattici e un senso di onnipotenza che lo ha accecato. In realtà, e questo è ancor più importante, forse sta perdendo consensi in quella borghesia produttiva e moderata del nord che è più interessata all’Europa che compra i nostri prodotti che alla Russia di Putin. E il M5S, alleandosi con Merkel e Macron per eleggere Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, dà l’impressione di aver virato verso l’europeismo. In Francia i gilet gialli hanno esaurito la loro spinta e Macron, anche perché ha imparato la lezione, si è assai rafforzato. In Germania, nelle elezioni regionali di domenica scorsa, il partito di estrema destra, Alternative für Deutschland, nonostante il forte aumento dei voti non è riuscito a scalzare democristiani e socialisti dal governo, rispettivamente, di Sassonia e Brandeburgo, i due stati dell’ex-Ddr dove l’AfD è più forte.
In Inghilterra Johnson chiudendo (sia pure legalmente) il Parlamento e così impedendo una discussione sulla Brexit, è riuscito a crearsi un’opposizione che va da buona parte del partito conservatore a tutti i laburisti, così che la sua promette di essere una vittoria di Pirro. Negli Usa Trump si è reso conto che ogniqualvolta alza la posta nella sua battaglia commerciale contro la Cina, Wall Street crolla e lo obbliga a moderare i toni. Questa politica altalenante sta riducendo i consensi del presidente: se i democratici trovassero un candidato moderato un po’ più giovane, dinamico e meno establishment del quasi ottantenne Joe Biden avrebbero vita facile nelle presidenziali del 2020. Il solo che per ora procede imperterrito è il presidente brasiliano Bolsonaro che sta dimostrando al mondo quali tragedie possa produrre un governo populista che per favorire una lobby di agricoltori consente la distruzione di una risorsa ambientale fondamentale per l’equilibrio ecologico del mondo intero. Ciò dimostra anche i limiti del sovranismo: le foreste amazzoniche sono una risorsa del mondo non solo degli agricoltori brasiliani. Di fronte a questo stallo, i partiti non populisti e non sovranisti, siano essi di destra, cioè conservatori tradizionali, o socialdemocratici di sinistra, hanno una finestra di opportunità. Ma è uno spiraglio da sfruttare con decisione e rapidamente. Un’altra serie di errori o indecisioni potrebbe riportare l’ondata populista e sovranista alla ribalta mondiale. Per il nostro Paese due sono i punti cruciali da affrontare per sottrarne il monopolio alla propaganda populista: l’immigrazione e la stagnazione economica. Cominciamo dall’immigrazione. Molti italiani votano per chi promette di proteggerli da quelli che percepiscono essere i rischi dell’immigrazione. È vero che questi timori spesso si basano su disinformazione, che diffonde l’errata convinzione che gli immigrati, tutti gli immigrati, siano quelli che arrivano con i barconi, che invece sono una piccolissima minoranza, e su esagerazioni dell’effetto dell’immigrazione sulla criminalità, dimenticandosi di tutti quegli immigrati che aiutano le nostre famiglie e la nostra economia e ristabiliscono un equilibrio generazionale. (Quanto siano diffuse queste errate percezioni emerge da una ricerca condotta da uno di noi, Alberto Alesina, con Armando Miano e Stefanie Stantcheva, Immigration and Redistribution , Nber 2018). La realtà è che l’italiano medio non è pronto a vivere in una società multietnica, almeno non lo è ancora, e queste preferenze culturali vanno tenute in conto quando si gestiscono i flussi migratori. Senza cadere nelle plateali (e inutili) sceneggiate di Salvini, il nuovo governo dovrà essere assai prudente sull’apertura dei confini, sul numero di immigrati ammessi e su quali accogliere. L’Italia infatti, e questo è solo demerito nostro, attira un pool di immigrati tra i meno istruiti e i più poveri. Dobbiamo imparare ad attrarre persone con un livello di istruzione medio più elevato. L’altro fattore che in Italia spinge il consenso per populisti e sovranisti sono 20 anni di stagnazione economica che dura ormai da troppo tempo. Questa stagnazione implica che madri e padri il cui tenore di vita oggi è, in media, molto superiore a quello dei loro genitori, hanno perso la speranza di vedere i figli star meglio di loro. Non solo. Le politiche pensionistiche e il nostro debito pubblico non fanno che trasferire risorse dai giovani di oggi e dalle generazioni future agli anziani di oggi. Problema che è aggravato dal fatto che la nostra scuola non è uno strumento per garantire pari opportunità. Come se non bastasse, l’Europa sta entrando in recessione, proprio nel momento in cui la politica monetaria ha quasi esaurito le sue cartucce. Se l’Italia non avesse accumulato inutilmente un debito enorme avremmo spazio per combattere la recessione con adeguate politiche fiscali espansive. Purtroppo, proprio a causa del debito, siamo sotto la spada di Damocle di uno spread che potrebbe schizzare in alto aumentando il costo del debito e quindi le tasse necessarie per ripagarlo. Non sono problemi di facile soluzione: sono almeno 20 anni che cerchiamo di affrontarli, con scarso successo. Ma oggi c’è una novità che può aiutarci: l’urgenza. Se non la sfruttiamo, convinti che non esistono scorciatoie populiste basate su deficit pubblici o sovraniste basate sull’isolazionismo, allora populismo e sovranismo torneranno in auge. E sarà solo colpa nostra.