Padiglione B. Qui ci sono i detenuti comuni: non è il reparto di massima sicurezza dove i contatti tra agenti e reclusi sono minimi. È un posto di commistione e di difficoltà, talvolta. Ecco, qui sarebbe nato tutta questa storia che vede un gruppetto di agenti trasformati in corrieri per far entrare nella struttura di via Pianezza tutto ciò che serviva ai reclusi. Droga, innanzitutto, e questo è abbastanza scontato.
Ma agli atti si parla anche di microtelefoni, apparecchiature non più grandi di un accendino che sono la vera piaga di molte strutture penitenziarie del Paese. Telefoni in grado di garantire contati continui e costanti tra chi è dentro e chi è fuori. E poi messaggi che altrimenti sarebbero arrivati in ritardo. La portata dei favori? Per ora è difficile da valutare. Resta il fatto che i detenuti – o chi chiedeva il favore – pagava i commissionieri. Come? Pacchetti di tabacco, sigarette. E più spesso ancora le birre pagate al bar. Anzi, al chiosco davanti al Lorusso e Cutugno. Poca roba, certo, che non arricchiva nessuno, ma che racconta come la struttura penitenziaria di Torino avesse più di una falla. Che, ancora una volta, interessa la struttura di vigilanza che dovrebbe essere estranea a tutto, oltre che garante del rispetto della legalità.
Questo secondo filone di indagine non incrocerebbe nomi con quello aperto dal pm Francesco Pelosi e che ipotizza – per la prima volta a Torino – il reato di tortura. Ecco, qui l’inchiesta è ormai chiusa. I 25 indagati avranno tempo 20 giorni per produrre memorie e chiedere di essere interrogati. Poi il magistrato valuterà per chi chiedere il rinvio a giudizio. Il legale Antonio Genovese, che difende il comandante della polizia penitenziaria dell’istituto Giovanni Battista Alberotanza spiega: «Studieremo gli atti, ma diciamo fin da ora che chiederemo al più presto di essere sentiti per chiarire la totale estraneità del mio assistito alle contestazioni sollevate».
Gli atti complessivi dell’indagine – 5300 pagine di accuse, intercettazioni, pedinamenti e verbali delle presunte vittime dei pestaggi – chiariranno ancora meglio i contorni della vicenda.
Tra le accuse mosse ai 21 agenti indagati c’è anche quella di avere utilizzato le celle numero 209, 210, 229, 230 della decima sezione del penitenziario per « isolare i detenuti che manifestavano segni di scompenso psichico». Questo avveniva nonostante nel carcere di Torino ci sia una sezione ad hoc. In queste celle, gli agenti conducevano i detenuti per usare violenza contro di loro. «Torture» per la procura.