Draghi, il convitato di pietra del Forum

L’annuale vertice dell’establishment italiano, organizzato a Cernobbio dal Forum Ambrosetti, ha visto anche quest’anno importanti presenze di leader internazionali e una, decisiva, assenza. Negli interventi, dai messaggi anche del presidente Mattarella e del leader russo Putin, dal commissario Gentiloni ai segretari dei partiti, Salvini, Meloni, Letta, Conte, fino ai ministri tutti, prevalevano toni di ottimismo, o quantomeno guardinga attenzione alla ripresa, condivisi, per esempio, dal ministro francese Bruno Le Maire, che, con un bel discorso di patriottismo europeista, ha incendiato la platea degli imprenditori. Ma in ogni capannello in veranda, nel summit discreto in riva al lago di Como tra i capi del centro destra Salvini e Meloni, presente l’influente ministro leghista Giorgetti, nelle cene riservate, il personaggio più discusso, evocato, blandito, citato, scrutinato, temuto, auspicato e interrogato a distanza restava lui, il Grande Assente, il presidente del Consiglio Mario Draghi.
In passato il Forum era concluso dal colloquio tra il premier in carica e gli ospiti, Renzi, Gentiloni, Conte, Letta, più indietro Berlusconi e Prodi, avevano lanciato così i loro messaggi per l’autunno incalzante. Non Draghi. Il laconico capo del governo ha comunicato, Zen giapponese in chiave italiana, attraverso il silenzio, generando il WhatsApp di un giornalista veterano: «Draghi è il Convitato di Pietra a Cernobbio: come nel libretto del “Don Giovanni” di Mozart e Da Ponte, la sua assenza marca un voluto messaggio di alterità politica: i partiti dibattano in pubblico le loro visioni del paese, noi governiamo». Chi arrivava da Roma, un anno dopo il lockdown, raccontava sorpreso agli uomini e donne (2021 record di oratrici e invitate) d’azienda del “metodo Draghi”, organizzare le riunioni di governo in stile banchieri centrali, niente nottambule riunioni preparatorie, conciliaboli frenetici, chiacchiericci confusi che, spifferati ai cronisti di fazione, innescano polemiche perditempo. Qualcuno storce il naso, qualcuno rimpiange l’eterno bric a brac dei mercatini fiscali romani, Draghi non rinuncia all’agenda.
Lasciando la scena ai ministri, tra i tecnocrati Colao, Messa, Cartabia, Bonetti, Giovannini, Lamorgese, tra i politici Giorgetti, Orlando, Speranza e Di Maio, in collegamento dal Medio Oriente per la crisi afghana, Draghi onora il tradizionale, e dovuto, dialogo con l’opinione pubblica di inizio stagione, ma marcando la propria identità. Pandemia Covid-19, necessità di investire il piano europeo di ripresa con raziocinio, mentre Gentiloni riflette su future regole europee e Le Maire invoca, come Churchill 1946, la difesa comune Ue nelle ore della rotta in Afghanistan: le emergenze in corso convincono Mario Draghi a fidarsi della regia minimalista. Il premier intende farsi giudicare attraverso scelte concrete, non sminuendo importanza, e necessità, della dialettica politica fra i partiti, legittimi centri di idee e interessi militanti, ma custodendo, con gelosia, a Palazzo Chigi il timone.
Fin quando, dopo il voto locale di Roma e Milano, le scadenze internazionali, dalla Germania post Merkel agli appuntamenti economici e le fatiche G 20, semestre bianco e corsa al Quirinale, i leader si rassegneranno a questo equilibrio resta da vedere. Per ora, Draghi meno appare e più pesa, dando significato di slogan al verso composto, un secolo or sono, dal giovanissimo poeta Attilio Bertolucci: «Assenza più acuta presenza».
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