DOVE SVENTOLA BANDIERA NERA.

Ezio Mauro
Non c’è solo l’immigrato, il nero, l’africano, al tavolo d’onore della prefettura di Milano, come fantasma fisso del nuovo populismo europeo, tra i due «eroi» Salvini e Orbán (si sono definiti così), che si stringono la mano mentre la piazza protesta per il loro incontro, consapevole del suo vero significato. Il migrante è un biglietto da visita per l’elettorato leghista, una carta di garanzia, una presentazione italiana per l’ospite di riguardo: «L’Europa dice che vuole gestire l’immigrazione, noi invece vogliamo fermarla, e lo faremo insieme». Poco importa che il governo ungherese abbia rifiutato ogni aiuto all’Italia per ricollocare i migranti della Diciotti sbarcati a terra: un amico dal cuore duro è ciò che serve per tentare insieme la grande operazione: il trapianto d’anima all’Europa.
Il primo ministro Conte (ma forse bisognerebbe dire il terzo ministro, dopo i due vicepremier e capi-partito) ha probabilmente ragione, l’Italia può tornare protagonista nel campo europeo. Purtroppo non per il ruolo politico che ha saputo conquistarsi nel negoziato sull’immigrazione, che è pari a zero.
Enemmeno per le minacce velleitarie e improvvisate di improbabili ” sanzioni” economiche all’Europa da parte di Di Maio: propaganda inutile persino per i polli. C’è invece una bandiera nera che può finire nelle mani del governo italiano. È lo stendardo della rivolta sovranista, che nasce come una riappropriazione di potere da parte degli Stati nazionali contro Bruxelles, e diventa molto di più: un’opa dell’ultra-destra sovranista sulle istituzioni della Ue per sterilizzare lo spirito comunitario dei fondatori, neutralizzare le speranze federali, paralizzare la costruzione faticosa ma costante della spinta costituente nel dopoguerra, cambiare radicalmente il concetto di Europa e di Occidente.
Un’operazione sfascista e avventurista alla ricerca del buio europeo che il nostro continente ha già generato, e che ha esorcizzato proprio con la democrazia delle istituzioni e delle Costituzioni, dopo il ’45. L’unità europea era il culmine e il pegno di questo compito responsabile che i popoli e i governi si assumevano per assicurare pace, sicurezza e benessere a un continente che aveva prodotto i due totalitarismi, scatenando due guerre mondiali.
Oggi l’operazione antieuropea ha il suo nucleo organizzato e visibile nel gruppo di Visegrad ( Polonia, Cechia, Ungheria e Slovacchia), a cui da ieri l’Italia si è iscritta come socio aspirante, pieno di buona volontà, visto che mentre Salvini riceveva Viktor Orbán il premier Conte incontrava il primo ministro ceco Andrej Babis, ovviamente sordo a ogni richiesta di aiuto sui migranti.
Partner occulti, ma nemmeno troppo, Vladimir Putin e Donald Trump, interessati entrambi — per ragioni diverse ma convergenti — al fallimento del progetto europeo e del supplemento di grandeur che quel progetto conferiva ai due Paesi guida, Francia e Germania, e ai loro leader. Quell’alleanza che si raduna programmando il funerale della Ue, aveva bisogno di trovare un socio nell’antica famiglia europea, meglio in un Paese fondatore dell’Unione come l’Italia, per agire anche dall’interno. Ecco spiegato l’entusiasmo di Orbán per «l’eroe» Salvini.
Mutando partner internazionali come in una quadriglia, passando da Adenauer a Orbán, scambiando Putin per Roosevelt, preferendo Erdogan a Merkel, Salvini e Di Maio stanno in effetti accompagnando l’Italia fuori dalla collocazione internazionale della sua tradizione, senza assumersi la responsabilità di questo passaggio, delle sue ragioni e delle conseguenze davanti al Parlamento, muto e inconsapevole. Un fatto che non ha precedenti. Qual è la visione internazionale del presidente del Consiglio, la sua valutazione della storia del dopoguerra, il suo giudizio sui valori occidentali di democrazia e di libertà? Tutto questo ha un senso oggi per il governo, o le democrature coi loro vizi di fondo che negano la libertà, valgono come le democrazie con le loro infedeltà?
Un passo dietro la questione europea, c’è la messa in discussione della Nato, ad opera di Trump. Il nostro governo sarà pronto ad allinearsi, accontentando in un colpo solo Trump e Putin, e calpestando il concetto di Occidente, in nome del ritorno al primato della sovranità nazionale?
Così entreranno in crisi le costruzioni che ci siamo dati nel lungo dopoguerra di pace, tutto ciò che è sovranazionale, ciò che parla di società aperta, di scambio, di libertà. Il mondo torna a chiudersi con i muri e le frontiere, e coloro che li attraversano diventano per Orbán i «senza patria» e i «senzaterra», i nuovi nemici che mescolano razze e culture, come dice il ministro degli Esteri ungherese, prendendosela con «ciclisti e vegetariani».
In realtà, come si capisce a questo punto, il nemico di questo esperimento di “democrazia autoritaria” è il pensiero liberale. Si salva la superficie della forma democratica, a condizione che pronunci il tradimento supremo, separandosi dalla sua sostanza. Senza il principio liberale, a fondamento delle istituzioni parlamentari e delle Costituzioni, della stessa distinzione tra destra e sinistra, la democrazia è un guscio vuoto: quindi perfetto per essere riempita della sostanza nuova ed empia, strumento della fase che stiamo per vivere.
Con la sinistra in crisi, la cultura liberale come avversaria, Bruxelles nemica, l’Europa orientale nuova alleata, il Capitano è pronto a issare la bandiera nera su palazzo Chigi, facendo pagare questo prezzo all’Italia, con la complicità sorridente della destra dilettante a Cinque Stelle. Era previsto, fin dal primo giorno. L’unica novità è che un pezzo di Paese si è accorto del pericolo. E per la prima volta si è dato appuntamento sotto il balcone di Orbán e Salvini: proprio a Milano, dove in politica spesso nascono le cose.
Fonte: lLa Repubblica, www.repubblica.it/