di Matteo Pucciarelli e Concetto Vecchio
ROMA — A un certo punto, mentre parla a beneficio dei suoi follower in diretta su Instagram, Giuseppe Conte batte i pugni sul tavolo della scrivania. Gli hanno appena chiesto del rapporto tra i 5 Stelle e il Pd, sulla carta alleati ma in realtà assai distanti, infatti ecco la risposta: «L’alleanza con il Pd va avanti da tempo, abbiamo lavorato insieme e sperimentato un pacchetto importante di riforme. Però pretendo rispetto e pari dignità, non posso accettare accuse di irresponsabilità. Non funziona così: non siamo la succursale di un’altra forza politica, non siamo succedanei di qualcuno». Il riferimento alle «accuse di irresponsabilità» è a quanto il presidente del M5S aveva letto poche ore prima sui giornali, dove nei retroscena si raccontava nel dettaglio di un Enrico Letta inferocito per l’agitazione di Conte sul caso delle spese militari che pareva addirittura prefigurare una crisi di governo. La mediazione con Mario Draghi alla fine c’è stata, proprio su impulso del segretario Pd. Una vittoria da potersi appuntare al petto per il M5S, ma il punto è un altro: sin dalla partita del Quirinale a febbraio il Movimento ha cominciato a percorrere una strada tutta propria, senza curarsi troppo del fronte progressista. Un comportamento che mina il governo e quindi non responsabile, è il pensiero ormai diffuso nel Pd. Per i 5 Stelle invece è considerata una scelta comunicativamente obbligata per non perdere il senso stesso di esistere, per ritrovare un’identità piegata da quattro anni di governo con tre maggioranze diverse; magari recuperando anche un po’ della vecchia retorica anti-sistema, la modalità barricadera, «il mainstream vuole schiacciarci, è un modo per costringerci al silenzio, ma hanno sbagliato di grosso. Non ci silenzieranno mai», protesta l’ex presidente del Consiglio.
Ieri pomeriggio Conte è anche andato a colloquio con Sergio Mattarella, dopo che i due si erano sentiti al telefono mercoledì. «Ci accusano di aver fatto questa battaglia (quella per far slittare il raggiungimento della quota del 2 per cento di Pil destinata alle spese militari, ndr ) per meri fini elettorali, ma dimenticano che è una sensibilità insita nel nostro dna, sono i nostri principi, espressi chiaramente anche nella nostra Carta dei valori», ha detto al presidente della Repubblica. Dopodiché lo ha rassicurato che non c’è alcuna intenzione di mettere a repentaglio la vita del governo. Quello con Conte è stato un colloquio informativo come avvengono usualmente tra il presidente della Repubblica e i partiti politici. Il clima è stato disteso e costruttivo. Così fonti del Quirinale hanno definito l’incontro, della durata di un’ora. Chi ha convocato chi? Secondo rumours parlamentari sarebbe stato Mattarella a chiederlo. È stato deciso insieme è invece la versione filtrata da entrambe le parti. Le tensioni da qui alle elezioni politiche tra un anno non mancheranno e al Colle confidano nel senso di responsabilità delle forze di maggioranza, chiamate al rispetto degli impegni internazionali. Da più parti si è fatta notare la moral suasion del Colle, che l’altro giorno ha poi portato alla mediazione dello slittamento al 2028 dell’aumento al 2 per cento. Mediazione che in realtà non ci sarebbe stata, perlomeno a sentire le parole del ministro della Difesa Lorenzo Guerini in serata al Tg1. Versione dei fatti che ha provocato — anche qui — più di qualche alzata di sopracciglia tra i vertici dei 5 Stelle: «Ma quindi nel Pd si smentiscono da soli, tra Guerini e Letta?», il commento malizioso dalla sede romana del Movimento.