Dialogo e complessità nella costruzione di una memoria collettiva

Le e i testimoni sono figure chiave del novecento. Il processo Eichmann più di ogni altro evento ha messo il testimone al centro della scena, mettendone in discussione e ricontestualizzando la natura, lo scopo e il ruolo. Tanto che lo si ricorda più per questo che per quello che doveva appurare e la pena.

ALL’INTERNO di questo processo simbolico la testimonianza dello scrittore Yehiel De-Nur (noto anche come Ka-Tsetnik 135633) è forse quella che intercetta più questioni chiavi: alla richiesta dei giudici di attenersi alle domande e ai fatti invece di usare un linguaggio figurativo, insostenibile e inutilizzabile in un processo, lo scrittore perde i sensi, in una serie di gesti a metà tra svenimento e crisi epilettica, e smette di testimoniare. Non può raccontare una cosa indicibile performando un linguaggio utilizzabile dalla corte. Pochi momenti, rintracciabili su Youtube, che portano a chiedersi che cos’è la testimonianza? Perché assume la forma che assume e quanto la influenzano i contesti? Che ruoli ha?

Se si ripensa alla storia del testimone nel novecento l’altro snodo temporale, l’altro momento di cesura da tener presente, è quello della fine della guerra fredda. Il disgregarsi dei due blocchi apre infatti la possibilità a nuove voci di emergere, a nuove memorie di venire ascoltate da entrambi i lati della cortina di ferro. Proprio da questo orizzonte temporale e tematico muove Testimonianze e testimoni nella storia del tempo presente a cura di Gabriella Gribaudi (pp. 268, euro 20), primo di una nuova collana («Storia Orale») per i tipi di editpress, diretta dalla stessa Gribaudi e coordinata da Giovanni Pietrangeli.

DAGLI ANNI NOVANTA assistiamo, come si legge nell’introduzione, a «un vero e proprio boom di studi sulla memoria, in cui la categoria è stata dilatata fino a ricoprire diversi significati, confondendosi spesso con la cultura e con la storia stessa. Memorie individuali, collettive, pubbliche sono state sovrapposte, spesso, in un unico contenitore indistinto». Pregio del libro è quello di provare a mettere un po’ d’ordine, distinguendo tra questi vari modi di raccontare il passato, analizzando tipi diversi di memorie, da quelle istituzionalizzate a quelle dal basso, in una serie di casi di studio eterogenei temporalmente e geograficamente, dalle diverse memorie di palestinesi e israeliani (Kobi Peled) alle memorie dei giovani deportati in Unione Sovietica (Marta Craveri e Anne Marie Losonczy), dalle testimonianze delle comunità indigene della guerra civile in Perù (Maria Rosa Stabili) alla dinamica tra potere centrale e testimonianza locali in Ruanda (Ornella Rovetta). Un altro grande pregio è quello di mettere al centro del libro e della riflessione la testimonianza e le/i testimoni, più che la natura e gli usi della storia orale, ormai una vera e propria disciplina con i suoi relativi steccati.

ECCO ALLORA un interessante contributo della sociologa Alessandra Dino sulla «giusta distanza» da avere quando si intervista un ingombrante collaboratore di giustizia o quello dello psicologo Giovanni Starace sul suo lavoro in carcere con dieci detenuti – due capitoli che costituiscono la parte centrale del libro intitolata proprio«il complesso dialogo con il testimone». Si interroga quindi la natura stessa dell’intervista e della testimonianza.
E se non a caso il libro si apre con due contributi sulla Shoah – Giovanni Contini che parla del suo lavoro alla Shoah Foundation e Liliana Picciotto al Centro di documentazione ebraica contemporanea – un’altra delle cose che si imparano leggendo questo volume è quanto sia forte il legame tra testimonianza e lo svilupparsi di narrative comuni o meno che stanno alla base della nascita o rinascita di stati nazioni: in modi diversi, ne parlano Maria Cristina Ercolessi nel suo saggio sulla Truth and Reconciliation Commission in Sudafrica e Gloria Nemec e Irene Bolzon nei loro contributi, rispettivamente, su Trieste e confine orientale nel dopoguerra. Insomma, un lavoro ricco e pieno di spunti, che aggiunge un tassello prezioso alla riflessione contemporanea sulla natura della testimonianza e delle e dei testimoni.

 

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