I COMMENTI
La parola chiave è “non convenzionale”. In un contesto dove il cambiamento d’epoca prevale sull’epoca dei cambiamenti, la risposta che le politiche provano a giocare per ridurre l’urto delle trasformazioni è il ricorso a misure e a condotte non convenzionali. La non convenzionalità riguarda non tanto la novità assoluta delle scelte adottate quanto la discontinuità con la storia recente e con un insieme di paradigmi teorici e di prassi consolidate. Nel territorio dell’economia globale l’esperienza degli ultimi dieci anni è stata caratterizzata dalla diffusa adozione di condotte non convenzionali in tema di politica monetaria. segue a pagina 10 segue dalla prima Grazie all’eccezionale espansione monetaria prodotta dai Qe, l’azione di tutte le principali banche centrali mondiali ha concorso a governare lo shock della crisi finanziaria ed evitare una deriva deflazionistica verso scenari di secular stagnation . Esperienza positiva L’esperienza storica della “non convenzionalità” delle politiche monetarie si è rivelata positiva. La crescita delle principali economie si è rimessa in moto lungo un percorso di ripresa ciclica che, seppur meno intensa che in passato, si è mostrata relativamente persistente e diffusa. Il rischio adesso è che il meccanismo virtuoso si inceppi. Che, avviata la normalizzazione delle politiche monetarie, il cammino di sviluppo venga penalizzato dall’irrompere di una nuova “non convenzionalità” delle politiche economiche. La non convenzionalità dei super-dazi e delle guerre commerciali. A differenza del Qe i dazi si muovono in una logica non cooperativa. L’obiettivo è acquisire un vantaggio specifico a scapito di una controparte nel breve o nel medio termine. Lo scopo a breve dei dazi Usa verso la Cina è produrre una riduzione del deficit bilaterale che nel 2017 si è avvicinato ai 400 miliardi di dollari. A medio l’obiettivo dell’azione americana è contrastare i progressi di Pechino nell’acquisizione della leadership delle tecnologie più innovative, programmata nel piano Made in China 2025 . A breve come a medio le ambizioni americane rischiano di venire frustrate sia dalle specifiche contromisure adottate dai cinesi sul fronte del rincaro dei dazi sull’export statunitense sia, soprattutto, dal consolidamento in Cina di un modello di sviluppo meno dipendente dall’interscambio. Tra il 2007 e il 2017 il peso delle esportazioni sul Pil è sceso in Cina dal 34 al 19%. Parallelamente, l’incidenza dell’import sul prodotto cinese è calata dal 27 al 15%. Non ce ne siamo accorti, ma l’economia cinese ha cambiato locomotiva: dando più spazio alla domanda interna; investendo sull’innovazione, come dimostra l’aumento negli ultimi venti anni da 800mila a 3,8 milioni del numero del personale impegnato in attività di ricerca e sviluppo. Lungimiranza Grazie alla combinazione tra una lungimiranza strategica e l’agibilità di strumenti tattici importanti, la posizione della Cina risulta oggi meno esposta che in passato all’urto dei super-dazi. Dall’altra parte c’è un’economia americana che continua a disporre di due leve fondamentali: rimanere il primo mercato mondiale dei consumi privati; avere un interscambio con l’estero il cui peso cumulato nella somma di export e import non supera il venti per cento del prodotto interno lordo. Tra i due giganti, chi rischia di uscire peggio dalla svolta non convenzionale dei dazi è l’Europa. I dati dicono che nel 2017 la quota dell’export di beni sul Pil ha raggiunto il massimo storico del 39 per cento in Germania. In Italia siamo saliti al 26% con un incremento di quasi quattro punti rispetto al 2007. La crescita europea Negli ultimi dieci anni la crescita europea è più di altri dipesa dall’interscambio. Oggi le guerre commerciali e il confronto geopolitico tra Usa e Cina ci rammentano la necessità di diversificare maggiormente i motori del nostro sviluppo. Facendo più investimenti pubblici. E accrescendo il grado di attrattività delle singole economie verso gli investimenti privati provenienti dall’estero. Negli scorsi anni la svolta non convenzionale delle politiche monetarie ha avuto il grande pregio di ridurre le incertezze dei mercati e degli investitori. La guerra odierna dei dazi, oltre a distorcere produzione e consumi, rischia invece di accrescere l’incertezza e di raffreddare la voglia di fare degli imprenditori. All’aumento delle barriere al commercio occorre opporre un piano di incentivi credibili all’investimento. Una sfida “non convenzionale” per l’Europa, e per l’Italia.
La Repubblica – Affari Finanza – Giovanni Ajassa * – 23/07/2018 pg. 1 N.28 – 23 luglio 2018. www.repubblica.it/