di Pierluigi Piccini
Non sono potuto andare al convegno sul conservatorismo organizzato sabato pomeriggio nell’aula magna storica dell’Università di Siena. Comunque, mi sono fatto relazionare dettagliatamente da alcuni presenti e, in ogni caso, resto sempre disponibile dopo questo articolo ad un dibattito pubblico. Mi dicono che l’iniziativa ha avuto un certo successo, e sicuramente non saranno mancate alcune presenze di Poggibonsi per omaggiare Angiolo Bencini, o di Colle Val d’Elsa. Se dovessi sintetizzare ciò che mi è rimasto in testa dopo le chiacchierate sull’incontro organizzato da Francesco Michelotti, non posso non riportare un passaggio di un articolo di Mino Maccari apparso sulla Stampa di Torino, la stracittà, il 4 maggio del 1929. «Quando Strapaese si oppone alle importazioni modernistiche, la sua opposizione vuol salvare il diritto di selezionarle al fine di impedire che i contatti nocivi, confondendosi con quelli che possono essere benefici, corrompano l’integrità della natura e del carattere propri alla civiltà italiana, quintessenziata nei secoli, ed oggi anelante a una sintesi unificatrice». Perché questa citazione? Per il semplice fatto che si è cercato continuamente il riferimento al periodo culturale fra le due guerre per contrapporre, come avvenne allora, ciò che all’epoca significava Americanismo, con ciò che significa oggi globalizzazione. Facendo come allora riferimento a qualcosa di autarchico, “al piccolo mondo antico” fatto di modesti borghi, di cultura contadina, del buon mangiare. Insomma, a quel movimento che oscillava fra l’utopismo e un soggettivismo piccolo-borghese, incapace di analizzare ciò che avveniva fuori d’Italia in termine di innovazione nei processi sociali, produttivi ed economici. Quel “ritorno all’ordine” che ruppe definitivamente con le avanguardie europee, lasciando in essere solo il futurismo che ebbe la sua massima fortuna, per un breve periodo, in Toscana con l’esperienza della rivista l’Acerba e comunque non è possibile dimenticare che il manifesto di Marinetti fu pubblicato a Parigi da Le Figaro. Quella cultura che portò all’esperienza eclettica del fascismo con le venature socialdemocratiche e in alcuni casi comuniste che conteneva. Una visione, quella dello Strapaese tutta rivolta al passato tranne, forse per l’architettura, nella quale lo scontro fra Piacentini, Giovannoni e Pagano, Terragni fu evidente e lasciò segni importanti, nel bene come nel male, anche nel dopoguerra. Di eclettismo e di poca chiarezza si può e si deve parlare, anche per il tentativo di dare una sostanza ideologica all’operato del centrodestra a Siena nella sua esperienza di governo cittadino. Tentativo sicuramente generoso quello del convegno, ma molto lontano da una realtà fatta, viceversa, di populismo e in molti casi di aspetti folkloristici. Molto lontana dalle enunciazioni sull’innovazione dei e nei processi, e da quella apertura all’internazionalità sempre sbandierata e mai realizzata. Se internazionale avrebbe dovuto essere il nuovo governo del Santa Maria della Scala, nella realtà dei fatti le nomine sono molto lontane dall’esserlo. L’Internazionalità viene subita come nel caso del nuovo direttore della Pinacoteca o nell’incapacità a governare processi complessi come quelli legati al futuro del Monte dei Paschi. Vorrei chiudere con un pensiero rivolto all’esperienza, sempre fra le due guerre, di un critico come Carlo Belli che ben si addice ad alcune affermazioni sentite al convegno e la sua proposta di conciliare lo spiritualismo cattolico rosminiano con il potere. Per questi motivi e non solo, il dibattito, senza volerlo, ha consacrato che l’esperienza del centrodestra a Siena è profondamente caratterizzata dal piccolo cabotaggio ripiegato su se stesso. Viceversa, oggi, una lettura corretta e non ideologica dei processi in atto con le ricadute che hanno sulle iniziative di governo, anche a livello locale, dovrebbe portare a fornire ai cittadini gli strumenti per una reale crescita personale e procurare elementi di sviluppo economico e sociale soprattutto per le nuove generazioni.