Da sei mesi lontani dalle aule

la sicurezza e il compito dei professori
Sono sei mesi che bambini e giovani mancano dalle lezioni. E ciò ha causato disagio in tutti i bambini e i ragazzi e un aumento delle disuguaglianze nell’apprendimento non indifferente. Non sono pochi i minori che non hanno un pc in casa, un quinto al Sud e sono proprio quelli che vivono in contesti più disagiati, con genitori con basso titolo di studio e maggiori difficoltà a seguirli negli studi. Non sono pochi i minori che vivono in sovraffollamento, il 40% del totale.
Come si saranno sentiti questi bambini e ragazzi? Come si saranno sentiti i loro genitori? Molta solidarietà si è sviluppata, con scuole che si sono attivate per alleviare le difficoltà, mamme più esperte e a volte anche papà che hanno cercato di aiutare i meno esperti, insegnanti con più abilità che hanno supportato gli altri e si sono inventati forme nuove di didattica, associazioni e terzo settore che si sono attivate in aiuto. Un preziosissimo lavoro di donne, soprattutto, maggioranza tra gli insegnanti, e fondamentali nel seguire i figli nei compiti, in un gioco incrociato che è servito molto durante il lockdown e subito dopo, ma che può andar bene solo per un periodo limitato.
Bisogna riaprire le scuole. E’ doveroso. In sicurezza. Per i bambini in primis, che perdono opportunità di socializzazione fondamentali, essenziali per l’apprendimento e la crescita. Per le donne lavoratrici che non possono più sostenere il carico di lavoro retribuito e non retribuito seppure in molti casi in smart working, con uno che si sovrappone all’altro. Per gli stessi docenti che hanno bisogno a loro volta di ripristinare la normalità dell’insegnamento. E lo raccomanda anche l’Organizzazione mondiale della sanità. Come dice Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità, “c’è bisogno di lezioni frontali perchè dobbiamo formare i ragazzi come cittadini, insieme”.
Ma dobbiamo essere coscienti che ognuno deve fare la sua parte per raggiungere l’obiettivo, il governo in primis. Le critiche in questo senso sono state precise da parte della società civile e in particolare dell’Alleanza per l’infanzia, anche per il ritardo con cui è stata affrontata la questione. Ma l’azione di governo non basta. Dobbiamo rivitalizzare il senso civico e di comunità che ci ha caratterizzato nel periodo di lockdown e che ci ha permesso di uscire dalla fase critica.
Abbiamo visto che con il periodo di vacanza il numero di casi è aumentato, la situazione epidemiologica è peggiorata: 1411 nuovi casi nelle ultime 24 ore. 490 focolai nuovi registrati dall’Istituto Superiore di Sanità, età media che scende a 29 anni, con un cambiamento delle dinamiche di trasmissione, con una maggiore associazione con attività ricreative. Era prevedibile, direte, ma se tutti, giovani compresi, avessimo avuto un atteggiamento di maggiore rispetto delle regole fondamentali, ciò non sarebbe successo. Per essere liberi veramente dobbiamo essere cauti e responsabili.
Non possiamo permetterci che con l’apertura delle scuole possa succedere qualcosa di simile. I danni per i bambini disabili, per i più poveri, sarebbero enormi. Per questo un appello alla responsabilità di tutti è d’obbligo anche per quegli insegnanti che non vogliono sottoporsi al test sierologico. Certo, non è obbligatorio. Ognuno decide come crede. Ma non riesco proprio a capire perché un insegnante debba rifiutarsi. Serve a se stesso, ai propri cari, alla propria classe e a tutta la comunità. E’ un’opportunità e al tempo stesso un elemento di protezione per la comunità intera.
Superiamo i dubbi e le dietrologie. Non siamo ancora usciti dal pericolo. Siamo in una fase di transizione, dobbiamo seguire le regole. Ma dobbiamo sapere che avremo alti e bassi. Che potremo interrompere le lezioni e poi riprenderle, e così anche il lavoro. Dovremo saper essere flessibili e vigili. L’importante è tornare insieme, al più presto, alla normalità, liberi. Più saremo responsabili, prima ce la faremo.
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