Cultura, tre strade per ripartire

Scenari Le difficoltà di oggi legate al coronavirus e le debolezze strutturali: due studiose riflettono sulle possibili strategie da adottare

 

di Paola Dubini e Valentina Montalto

Non solo emergenza, soluzioni per la «fase due»

In questi giorni è vivace la riflessione sui modi più opportuni per aiutare le filiere culturali ad affrontare il presente, ma anche a preparare una fase 2 che sarà comunque lunga e difficile.

Di quante persone parliamo? Difficile dirlo con precisione, per la molteplicità di settori e ruoli coinvolti. Nei 27 Paesi Ue, arte e cultura contribuiscono, in media, al 3,7% dell’occupazione totale. La percentuale di lavoratori autonomi è notevolmente più elevata nell’occupazione culturale (32%) che nell’occupazione per l’economia totale (14%) e tale differenza è rimasta stabile nel tempo.

Quando parliamo di cultura, parliamo di una pletora di filiere e di operatori, che hanno caratteri, forme giuridiche e normative di riferimento molto diverse fra loro. Ma questi «mondi» sono anche reciprocamente interdipendenti. Sostenere la cultura in un momento di shock significa dunque agire su più livelli, garantendo la salvaguardia di singole infrastrutture, oltre che di specifiche categorie di lavoratori.

Non tutte le filiere culturali sono in affanno con la stessa intensità: i teatri, gli organizzatori di festival, gli operatori delle filiere dello spettacolo dal vivo sono bloccati; l’impatto economico è più immediato per chi fra i musei e i teatri ha una quota più elevata di ricavi da biglietteria e da servizi. Per tutti la tensione di liquidità è evidente. Le biblioteche universitarie e di pubblica lettura hanno aumentato i prestiti digitali e si sono adoperate per migliorare il proprio servizio agli utenti. Le piattaforme digitali che vendono servizi in streaming, i quotidiani, i siti web sono in crescita in termini di attenzione degli utilizzatori, di tempo dedicato e in parte in fatturato, ma fanno fatica a raccogliere pubblicità. La distribuzione fisica è difficile per tutti; nonostante si siano visti comportamenti fortemente imprenditoriali a livello locale e collaborazioni fra operatori (i librai con le edicole per le consegne di prossimità, ad esempio), molti operatori sono stati colti impreparati, sia dalla chiusura sia dall’annuncio della riapertura. Nei mercati culturali l’attenzione e le risorse si concentrano in modo sproporzionato su «pochissimi» (autori, esecutori, operatori), a fronte invece di una offerta molto ampia. I pochissimi sono in grado di affrontare la crisi, mentre è essenziale sostenere la «biodiversità culturale», perché è questa che sostiene il sistema e che permette ai «pochissimi» di emergere.

L’effetto della crisi si ripercuoterà sulle filiere per periodi non brevi in un effetto domino. Gli autori — per fare un esempio — non sentiranno così tanto l’effetto della crisi nel 2020, ma lo sentiranno fortemente nel 2021. Le compagnie di teatro hanno perso l’investimento della produzione oltre alle serate. Le nuove produzioni e le produzioni in uscita (nel settore editoriale, dell’audiovisivo e dello spettacolo) subiranno un rallentamento per un certo periodo; inutile dire che i giovani artisti e registi faranno ancora più fatica.

In questo momento di chiamata alla responsabilità individuale, non mancano in questi giorni comportamenti solidaristici lungimiranti all’interno di alcune filiere, come il sostegno di alcuni editori alle iniziative di consegna a domicilio su base locale da parte delle librerie, gli anticipi di Apple music per le etichette indipendenti, le donazioni di Spotify o le misure messe in campo da Siae per i suoi associati e i suoi mandatari.

Il supporto dell’Europa

Come finanziare la ripresa? Oltre ai fondi nazionali vale la pena considerare le risorse Ue

Siamo consapevoli del fatto che la riflessione è solo agli inizi e richiede un continuo aggiornamento. Ma avvertiamo l’urgenza di proporre alcune possibili direzioni di lavoro comune nonché di approfittare di questo momento per mettere mano ad alcune storture delle diverse filiere.

Tre ci sembrano essere le aree di lavoro importanti per accompagnare la ripartenza. Primo: infrastruttura culturale. In ogni territorio, e a livello nazionale, l’offerta culturale si compone di un mix di operatori afferenti a filiere diverse. In parte questi operatori possono «fare sponda». Le istituzioni culturali saranno chiamate a valorizzare al massimo la loro funzione di infrastruttura culturale «di prossimità», per residenti e turisti che, nell’immediato, saranno per lo più nazionali. La relazione fra mondi della cultura, dell’educazione del turismo e della cura dovrà essere considerata con grande attenzione. Esiste però una soglia minima sotto la quale l’offerta culturale non è in grado di stimolare la domanda e permettere quella vitalità trasformativa che è la ragione d’essere delle organizzazioni culturali che fanno bene il loro mestiere. Questa soglia minima dovrà essere preservata, perché il danno (individuale, collettivo, sociale ed economico) connesso alla sua frantumazione sarebbe enorme e di lunga durata.

Secondo: cultura sostenibile. La fragilità di una parte consistente dei mercati del lavoro è nota ed era presente da prima dello scoppio della pandemia; non saranno le misure di emergenza a risolverla. Se consideriamo la cultura come una risorsa, è il momento di guardare ai settori culturali e ai loro meccanismi di funzionamento in una prospettiva di sviluppo sostenibile, sia nazionale sia locale. Il tema non ha solo a che fare con la più ampia riflessione sull’attuale mondo del lavoro, ma anche e soprattutto con un diverso modo di pensare il senso e il valore del mondo culturale all’interno della società.

La pandemia ha creato bisogni evidenti che possono utilmente essere affrontati anche dalle organizzazioni culturali che decidano di orientare su specifici obiettivi di sviluppo sostenibile parte delle loro attività: 7 milioni di ragazzi che hanno studiato a casa sono pubblici da coinvolgere, interessare, divertire in modo intelligente; la cura dello spirito emergerà come un problema evidente man mano che l’epidemia metterà meno pressione sulla cura dei malati di polmonite; il genius loci delle nostre città dovrà essere raccontato in modo meno approssimativo a pubblici fino a ieri considerati in primis consumatori. I mondi della formazione, dei mercati professionali, delle organizzazioni e dei professionisti consolidati devono ricominciare a funzionare affrontando le molte pietre d’inciampo.

Terzo: Europa. Come finanziare la ripresa? Oltre ai fondi nazionali, vale la pena considerare le risorse europee. Oltre al programma direttamente rivolto ai settori culturali e creativi-Scc (Europa Creativa), programmi come Erasmus+, Horizon 2020, Cosme ma anche i Fondi strutturali e di Investimenti europei (Sie) della politica regionale, solo per citarne alcuni, supportano in maniera significativa i Scc. Ma si può fare di più. La crisi sanitaria ci invita a un accurato ripensamento del budget e dei programmi 2021-2027. Ora più che mai dovremo ragionare in un’ottica di complementarietà tra progetti e investimenti strutturali. Se per esempio i Fondi Sie permetteranno il recupero di spazi a fini culturali, sono le attività finanziabili dai restanti programmi che permetteranno di alimentarli. Quanto alle aree di lavoro da prediligere, non è forse un caso che la Nuova agenda europea per la cultura avesse già due anni fa identificato la «cultura come cura» tra gli assi prioritari.

 

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