Tu ci chiudi, tu ci paghi. Questa la parola d’ordine della manifestazione indetta tramite reti sociali a Napoli, in piazza del Plebiscito, alle ore 18 di lunedì 26 ottobre 2020. L’iniziativa segue le mobilitazioni che, in diverse modalità, hanno visto come protagonista una nebulosa sociale composita e sfuggente ma anche originale e complessa. Una configurazione irriducibile agli schemi e alle riduttive categorie interpretative rimbalzate sui media nello scorso fine settimana.
Fin dal primo pomeriggio il centro della città si riempie di camionette e reparti mobili di celere, carabinieri e guardia di finanza. Quattro idranti antisommossa sono parcheggiati ai lati della piazza scelta dai manifestanti per il raduno, mentre almeno quindici blindati sono disposti lungo il tracciato del possibile corteo, tra piazza Trieste e Trento e via Santa Lucia. Arrivando sul posto è difficile decifrare la collocazione dei diversi protagonisti collettivi. Più semplice districarne la geografia partendo da incontri individuali. Nel Plebiscito illuminato dalle sirene dei mezzi delle forze dell’ordine si incontrano baristi e bariste, danzatrici/tori, il gestore di locale, cameriere/i, spedizionieri, attrici e attori, teatranti, tecnici del suono, facchini, laureati impiegati a progetto, gestori e operatori di fitness center, animatori di feste per bambini, musicisti (dai raffinati agli strumentisti da matrimonio), videomaker, operatori dei servizi audiovisuali, ma anche badanti, babysitter, disoccupati, operai tessili o della logistica, cassiere/i, proiezionisti di sala così come gruppetti di tifosi organizzati, parcheggiatori abusivi, magliari, piccoli pusher e altre figure, in modo diverso, accomunate dalla precarietà economica e sociale. Donne e uomini che, per la prima volta, condividono un momento di conflitto collettivo motivato dall’incombere di un nuovo confinamento. In grande maggioranza lavoratrici e lavoratori che per anni hanno accettato impieghi a nero e rinunziato a contributi e altri diritti in nome del guadagno maledetto e immediato. Lavoratrici e lavoratori costretti a non rivendicare la legittimità della propria posizione, della propria specializzazione, del proprio ruolo nel mercato del lavoro. Lavoratrici e lavoratori che hanno sentito l’intollerabilità della propria condizione quando la pandemia ha reso nudo il re.
Qual è il cuore del raduno? Non c’è. Ci sono gli striscioni che testimoniano le presenze collettive e provano ad amplificare il senso di parole d’ordine più articolate ma anche difficili da diffondere. L’amplificazione, quella elettronica, insufficiente ma necessaria, è megafono di interventi spontanei, slabbrati ma anche, finalmente, appropriati. Un nutrito gruppo di solidali si addensa intorno ai militanti di Casa Pound inducendoli a sloggiare dalla piazza. Intanto il corteo comincia a premere sul cordone di forze dell’ordine che sigilla l’accesso a Santa Lucia. Poco più indietro, un gruppo di barmen (in maggioranza maschi), danno vita a un mantra ossessivo suonato da shaker pieni di biglie agitati in modo compulsivo.
Da piazza Trieste e Trento si posiziona, alle spalle dell’assembramento, un ulteriore idrante coadiuvato da un reparto di celere schierato. La prima linea del corteo spinge. Le camionette si muovono. Lo spazio si allarga. Non si sfonda. Si procede per concessione.
Caschi blu avanti, caschi blu dietro. In mezzo una folla che prova a determinarsi sorvegliata da ogni lato dalla celere. La lezione del venerdì selvaggio è servita alla questura per organizzarsi. Non c’è via d’uscita. Dietro le testuggini i falchi sono schierati su moto armati di manganelli, mentre dal corteo fuoriescono le decine di agenti in borghese che fino a quel momento si erano aggirati in piazza, da veri “infiltrati”. Arrivati sotto il palazzo (vuoto) della Regione l’assembramento canta Napule è mille culure… Interventi gridati al megafono, cori. Nessun disordine è possibile, solo un inevitabile defluire, con una auto-convocazione a un nuovo presidio per oggi, ore 18, fuori la Regione.
Risalendo a ritroso lungo il percorso appare sempre più chiaro che sarebbe bastato poco per dar vita a un’altra sommossa, stavolta consapevole. Rivendicare un ristoro non è la stessa cosa che pretendere diritti che vanno oltre l’emergenza, così come superare le generiche richieste di reddito universale per rivendicare percorsi di emancipazione e cura che abbiano come protagonisti coloro che sono costretti, loro malgrado, nella marginalità. Se da un lato è importante riuscire a mantenere questa eterogeneità in un unico contenitore, dall’altro diventa urgente creare una piattaforma che si fondi su rivendicazioni articolate e unificanti. Il tempo stringe, sia perché non è facile mobilitare così tante persone in piazza per tanto tempo, e ancor più in epoca di pandemia e coprifuoco; ma anche perché la piazza di questi giorni è facilmente frammentabile, le spinte corporative che la sostengono potrebbero divergere e affievolirsi con l’arrivo dei prossimi provvedimenti economici. È il momento di parlare di diritto alla casa, alla salute, alla mobilità, a un lavoro tutelato, a città non mercificate ed escludenti, altrimenti c’è il rischio che a breve in piazza restino solo gli invisibili, che come sempre saranno esclusi da ogni misura e dovranno arrangiarsi da soli, senza il supporto di chi l’acqua ce l’ha appena qualche centimetro più in basso della gola. (napolimonitor)