Covid e mascherine, indagine sull’ex socio e fedelissimo del ministro Giorgetti

 

  • Che il Covid fosse un disastro per molti e un affare per pochi è evidenza diventata lampante dopo le inchieste della procura di Roma sull’ex socio di Giuseppe Conte – l’avvocato Luca Di Donna – e soprattutto su Mario Benotti, l’ex giornalista della Rai capace di incassare 12 milioni per mediare una compravendita di mascherine dalla Cina per conto della struttura commissariale al tempo guidata da Domenico Arcuri.
  • In pochi, però, sanno che pure politici ed ex deputati sono finiti di recente nel mirino della magistratura per aver fatto (o provato a fare) business con mascherine anti-coronavirus e apparecchi medicali assortiti, termometri compresi.
  • Domani ha scoperto che la procura di Forlì sta indagando da mesi su Gianluca Pini, ex onorevole di lungo corso della Lega e per anni vicinissimo al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, di cui è stato socio in affari fino a poco tempo fa.

Che il Covid fosse un disastro per molti e un affare per pochi è evidenza diventata lampante dopo le inchieste della procura di Roma sull’ex socio di Giuseppe Conte – l’avvocato Luca Di Donna – e soprattutto su Mario Benotti, l’ex giornalista della Rai capace di incassare 12 milioni per mediare una compravendita di mascherine dalla Cina per conto della struttura commissariale al tempo guidata da Domenico Arcuri.

In pochi, però, sanno che pure politici ed ex deputati sono finiti di recente nel mirino della magistratura per aver fatto (o provato a fare) business con mascherine anti-coronavirus e apparecchi medicali assortiti, termometri compresi. Non solo nella Capitale o a Siracusa, dove i pm stanno lavorando sui deal di Irene Pivetti. Ma anche a Forlì: Domani ha scoperto che la procura romagnola sta indagando da mesi su Gianluca Pini, ex onorevole di lungo corso della Lega e per anni vicinissimo al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, di cui è stato socio in affari fino a poco tempo fa.

Pini è finito sotto la lente d’ingrandimento della procura e dell’ufficio antiriciclaggio della Banca d’Italia perché proprietario di una piccola srl di Fusignano (a 30 chilometri da Ravenna), la Codice, specializzata in commercio all’ingrosso di bevande, ma ora coinvolta in un’inchiesta sull’importazione di mascherine. Un’indagine in cui gli inquirenti ipotizzano reati gravi come la corruzione, la frode, il falso ideologico e la turbativa d’asta. «Non ho notizie in tal senso» dice Pini «Ma nel caso sarei tranquillissimo: ho svolto i miei affari rispettando tutte le leggi».

DAI BAR AL COVID

La storia è complessa. Il leghista, storico segretario del Carroccio in Emilia-Romagna dal 1999 al 2015 e onorevole dal 2006 al 2018, è tornato a fare l’imprenditore a tempo pieno da due anni, da quando non è riuscito ad ottenere la ricandidatura per un posto in parlamento. Tra i leader indiscussi della vecchia corrente di Roberto Maroni (si autodefinisce ancora oggi un “barbaro sognante”), Pini ha da sempre pessimi rapporti con Matteo Salvini, che ha preferito candidare un suo suoi fedelissimo al posto del maroniano.

Aspettando tempi migliori Pini, attraverso la Codice e la Golden Choise è tornato al suo vecchio amore: tecnologo alimentare, si è buttato nella ristorazione, aprendo a Forlì locali e bar come “Ruggine” e “Ginetto”, nome che viene dalla crasi tra il gin tonic e il nome del suo cane.

Gli affari vanno bene, ma a inizio del 2020 l’arrivo del virus e i lockdown azzerano di colpo i profitti del gruppo gastronomico, che il leghista ha creato insieme alla compagna Paola Ragazzini e al fratello Alessandro. Il superfederalista, che nel 2016 organizzò la visita di Salvini e Giorgetti al parlamento israeliano, di fronte alla crisi non rimane però con le mani in mano. Capisce che può riciclarsi alla grande e fare un bel po’ di soldi comprando e vendendo mascherine per il pubblico e il privato.

LA SVOLTA MEDICA

Pini non ha mai lavorato nel settore medico, («non sapevo nemmeno come fosse fatta una mascherina», ci dice) ma un mese dallo scoppio della pandemia con la sua Codice riesce a piazzare il primo colpo: l’Ausl Romagna – senza un bando di gara – gira alla piccola srl della ristorazione un contratto che può fruttare al leghista fino a 6,3 milioni di euro. «Finora ho incassato solo tre milioni», chiarisce.

Secondo il racconto dell’imprenditore, non è lui ha proporre l’affare. Ma è l’ente sanitario allora guidato da Marcello Tonini, dirigente nominato dal presidente Stefano Bonaccini, a chiedere aiuto al ristoratore ex deputato e alla Codice, nonostante fosse una società con un capitale sociale di soli 10mila euro. Com’è possibile? «Innanzitutto ricordo che ho cambiato subite il codice Ateco della srl, che ha così potuto operare anche nel settore dell’import-export internazionale di prodotti sanitari» dice Pini a Domani.

«I dirigenti apicali di Bonaccini non c’entrano nulla. Un venerdì, mentre ero a guardare la tv, preoccupato per la chiusura delle mie attività, mi ha telefonato un vecchio compagno di scuola che oggi lavora proprio alla Ausl Romagna. Si ricordava che, prima di diventare deputato, facevo trading di alimenti sui mercati asiatici. Mi chiese se potevo provare a trovare mascherine per il suo ente sanitario, perché erano disperati. Io ho ancora buoni contatti in effetti, e trovai subito chi poteva vendere dispositivi a buon prezzo».

Sul perché decise di trasformarsi in mediatore, Pini dice: «Fui io stesso a suggerire all’Ausl che sarebbe stato meglio che li contattassero direttamente loro, perché se avessi intermediato io la compravendita ci sarebbero state polemiche, in quanto fino a poco tempo fa ero persona politicamente esposta. Replicarono che l’Ausl avevano tentato acquisti in Cina ed a Hong Kong senza successo, e che stavolta preferivano che il buyer fosse una società del territorio. Cioè la mia Codice. È andata così, glielo assicuro».

Pini chiarisce anche che i milioni di mascherine importate, una volta giunte in Italia, sono «stati preventivamente validate dall’Ausl. Non solo: le importazioni sono state sottoposte a rigidissime verifiche da parte dell’antifrode dell’Agenzia delle dogane, risultando pienamente conformi e regolari».

Per la cronaca, Pini conosce bene il numero uno delle Dogane e dei Monopoli Marcello Minenna: a Domani risulta che l’ex deputato leghista sia stato visto almeno una volta nella sede centrale dell’ente negli scorsi mesi, e che Pini abbia dato qualche consiglio al direttore dell’agenzia anche sul nome da dare alla “Casa dell’anti-contraffazione”, un museo del falso inaugurato lo scorso giugno nella romana Piazza Mastai. All’evento era presente, oltre una mezza dozzina di ministri, anche il Giorgetti, che Pini dice essere solo un suo vecchio amico: «Ci scambiamo consigli in assoluta amicizia, non sono il suo segretario-ombra come sostiene malignamente qualcuno. Credo solo che lui sia una delle poche teste pensanti della Lega. Dire come fa lei che lui è il braccio destro di Salvini mi fa ridere, è perfino offensivo per Giancarlo. Lo stimo molto, e credo che il giudizio sia ricambiato». Mai stato, sottolinea, a eventi pubblici con lui da quando è diventato ministro dello Sviluppo: «Al massimo ci vediamo insieme qualche partita della nostra squadra del cuore, il Southampton».

Anche i rapporti tra Pini e Minenna sono stretti, ma l’imprenditore leghista nega che abbia mai chiesto favori per sdoganare mascherine cinesi o altri apparecchi. «Lo conosco fin da quando era in Consob, è vero, ma non mi pare che sulle certificazioni e suoi controlli Minenna abbia un ruolo operativo. Non gli ho mai sollecitato nulla comunque, e sono andato a trovarlo in sede a Roma solo una volta, quando avevo una mezz’oretta libera».

Come mai un alto dirigente pubblico incontri un imprenditore ex politico discutendo di anticontraffazione resta un mistero, così come non è chiaro come mai Pini abbia provato a importare anche una partita di termometri dall’estero. Il leghista è secco: «I termometri non me li ha chiesti l’Ausl Romagna, ma un amico che gestisce la distribuzione in farmacia» spiega «Ho importato un centinaio di campioni che però ho verificato non essere conformi, e così li ho fatti distruggere: tutto qui, non ci sono arcani».

BONIFICI E MILIONI

Ora, non sappiamo se l’indagine di Forlì che indaga a vario titolo per corruzione e truffa sia incentrata anche sulle mascherine inviate alla Ausl Romagna dalla Codice. Dalle mura della procura, infatti, e da quelle degli uffici della squadra mobile non filtra nulla. Di certo però gli inquirenti hanno sentito come persone informate sui fatti alcuni dipendenti delle Dogane. E hanno messo sotto il microscopio altri affari in cui risulta coinvolta la società di Pini. Che tra aprile e luglio 2020 ha ordinato e ricevuto bonifici da centinaia di migliaia di euro anche da ditte che, con l’arrivo della pandemia, hanno cominciato a dedicarsi improvvisamente anche alla compravendita di dispositivi di protezione.

Tra i soggetti finiti nel mirino dei pm di Forlì e di Bologna c’è la Top Defender srl di Gianluca Fiore («non è un amico, ma un avventore del mio bar», chiosa Pini) e di una misteriosa donna di nazionalità ceca, Zuzana Miczkova («mi pare sia la segretaria di Fiore»). La sconosciuta Fi.da Obchod (riconducibile anche questa alla Miczkova e alla rumena Mihaela Atomei), che risulta essere localizzata nella Repubblica Ceca. E una terza società intestata ai fratelli Bruno e Giorgio Ciuccoli, dal 1976 specializzata in autotrasporti ma trasformatasi – nell’aprile 2020 – anche lei in buyer di Dpi.

Proprio dalla srl dei Ciuccoli (suoi conti correnti dell’azienda può operare anche Fiore) la Codice di Pini incassa la bellezza di 970mila euro tra aprile e luglio 2020. In pratica, l’amico di Giorgetti ricava in poche settimane circa 4 milioni di euro, sommando l’affare con la Ausl Romagna e altri business paralleli. «Ho venduto ai Ciuccoli mascherine cinesi, ma – come è scritto anche negli atti doganali – il destinatario finale era la Corofar». Ossia una grande cooperativa di farmacie territoriali, presieduta da Pier Luigi Zuccari.

Proprio quest’ultimo potrebbe essere il «vero dominus» della Top Defender, che ha come cliente principale la Codice di Pini. Come mai questo sospetto?

Perché «Zuccari è delegato ad operare» segnalano ancora dall’antiriciclaggio «sul conto corrente privato intestato alla cittadina ceca Miczkova», la “segretaria” citata da Pini ma socia della Top Defender. Zuccari in Emilia-Romagna non è un impresario qualsiasi: gran capo della coop Corofar (la sede di Forlì è stato l’hub vaccinale del vaccino Pfizer) è pure membro del cda di Federfarma.Co, azienda che rappresenta 26 cooperative e società di farmacisti sparse su tutto il territorio nazionale, che rappresentano il 35 per cento dell’intero fatturato della distribuzione intermedia dei farmaci.

Il nome della Corofar qualche mese fa è spuntato anche in un decreto della procura forlivese che ordinava il sequestro di alcune partite di mascherine distribuite dalla cooperativa, ma Zuccari gettò al tempo acqua sul fuoco, sostenendo che la mancata conformità dei prodotti cinesi era frutto solo di un «inconcepibile» errore burocratico. Anche i suoi amici sostengono che il suo nome sia finito nelle carte dell’antiriciclaggio per «errore».

Vedremo se i magistrati indagheranno ancora sugli affari di Pini e sul turbinio di bonifici a cinque zeri tra società ceche e romagnole, se i reati ipotizzati cambieranno oppure se l’indagine verrà archiviata in tempi brevi senza formalizzare accuse a nessuno. Come già accaduto, ricorda Pini, a un processo per millantato credito che il leghista ha dovuto affrontare anni fa: condannato in primo grado a due anni di carcere, «la mia pena è stata poi cancellata in appello».

Ma al netto dei rilievi penali tutti ancora da dimostrare, quello che colpisce è come sia possibile che un ex politico impegnato in ristobar sia riuscito dal giorno alla notte a fatturare milioni con l’emergenza Covid. Non solo: il leghista antisalviniano mentre importava mascherine era contemporaneamente in affari anche con Giorgetti in persona. Non nella srl delle bevande Covid al centro dell’inchiesta forlivese, ma nella Saints Group. Una società informatica ed elettronica di cui – come raccontò Report ipotizzando il rischio di conflitti di interesse – il ministro era socio paritario con Pini e tal Enzo Pellizzaro.

«Giorgetti non c’entra nulla con i miei affari con le mascherine, e con la Saints Group non ha più nulla a che fare da anni» dice Pini «Io posso avere in società chi mi pare, e non ci sono conflitti di interesse: a marzo del 2020 c’era il Conte II, Giorgetti era all’opposizione, né poteva decideva della sanità dell’Emilia Romagna o incidere sulla sanità nazionale».

È vero che la Saints Group è del tutto estranea all’inchiesta di Forlì, ma in realtà Giorgetti si è sfilato dalla start up solo a giugno 2020, quando ha deciso di donare le sue quote a una sua parente stretta. Che ha poi controllato il 32 per cento della Saint Group fino ad aprile del 2021, quando – forse perché Giorgetti era diventato ministro del governo Draghi ha prevalso la questione di opportunità – ha ceduto tutte le quote a Pini.

Non sono chiari i motivi per i quali il potente numero due della Lega abbia deciso di investire in una srl specializzata in app e in brevetti informatici, ma di sicuro i giri vorticosi di denaro che passano sui conti correnti del suo ex socio rischiano di causargli quantomeno qualche imbarazzo.

Dall’entourage di Giorgetti spiegano che il numero due di Salvini «ha chiuso ogni rapporto con Pini da quando è diventato ministro», e che della vicenda delle mascherine «non sapeva nulla». Anche i rapporti tra il ministro e Minenna si sarebbero assai «raffreddati», anche a causa delle inchieste di Domani sul direttore dell’agenzia, indagato per abuso d’ufficio e falso dalla procura di Roma. «Dispiace però che si facciano accostamenti tra persone e vicende che non c’entrano nulla» concludono dal ministero. «Dei business di Pini il ministro Giorgetti non era a conoscenza di alcun dettaglio, e con lui è entrato in società perché affascinato da un progetto informatico che lo intrigava e da cui è uscito tempo addietro».

 

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