Già Maroni ci provò nel 2009 n passo indietro nella gestione dei beni confiscati alla mafia. E quello che prevede il “decreto Salvini” varato ieri dal Senato e che ha già raccolto le proteste e gli appelli delle associazioni da sempre in prima linea contro le cosche. Già nel 2009, l’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni, aveva voluto estendere la vendita dei beni confiscati alla mafia anche ai privati. La norma era stata inserita nella Finanziaria. Il decreto legislativo del 2011 (quello attualmente in vigore) aveva poi stabilito che i beni immobili fossero mantenuti nel patrimonio dello Stato per poi essere trasferiti agli enti locali che avrebbero potuto gestirli direttamente ovvero assegnarli in concessione a titolo gratuito ad associazioni del terzo settore. «La vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge». Lo scrivono, in un appello unitario, Ach, Arci, Articolo 21, Avviso Pubblico, Centro Studi “Pio La Torre”, Cgil, Cisl, Uil, Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Legambiente, Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie e Usigrai. Le associazioni e i sindacati chiedono al Parlamento «che la vendita venga considerata in maniera chiara e inequivocabile una extrema ratio e non una scorciatoia per evitare le criticità che si riscontrano nella destinazione e assegnazione dei beni». Nell’appello, si chiede al Parlamento «di rafforzare, piuttosto, l’azione di aggressione ai patrimoni delle mafie e della criminalità economica/finanziaria e di dare concreta attuazione alle norme che stabiliscono la confisca di beni ai corrotti». Si chiede infine anche un rafforzamento complessivo dell’Agenzia nazionale e «che la costituzione dei tavoli provinciali per le aziende sequestrate e confiscate non sia lasciata alla discrezionalità delle Prefetture come invece recita in modo chiaro il testo in vigore del Codice Antimafia. Chiediamo, altresì, che i fondi pubblici per gli investimenti e per l’accesso al credito siano resi pienamente operativi così come la previsione di risorse dedicate ai progetti di riutilizzo sociale a favore degli Enti pubblici destinatari dei beni e delle associazioni/cooperative assegnatarie». L’appello è a tutte le forze politiche in Parlamento «perché si fermino e ripensino quanto stanno per votare e considerino le nostre proposte. Non possiamo rischiare che il provvedimento si traduca in un ulteriore “regalo” alle mafie».