Così scorre la vita, celando in sé visioni

Nei primi giorni dell’ottobre del 1924 il poeta russo Vladislav Felicianovic Chodasevic raggiunge a Sorrento Maksìm Gor’kij, che risiedeva in «una grande villa poco confortevole e in cattivo stato». Il 16 novembre Gor’kij e i suoi ospiti si trasferiscono al Capo di Sorrento, nella villa ‘Il Sorito’. In una prosa raccolta nel 1939 in Necropoli, Chodasevic ricorda quella periclitante dimora: «la villa si trovava su una piccolissima sporgenza della roccia. Sotto la facciata sud si apriva un dirupo di un centinaio di metri, a picco sul mare. Questa roccia, come tutta la costiera amalfitana, si sgretola continuamente». Sette mesi prima c’era stata una frana e «la villa era rimasta intatta per miracolo, sospesa sullo strapiombo», a dominare il golfo con Napoli, il Vesuvio, Castellammare.

Chodasevic lascerà Sorrento per Parigi il 18 aprile del 1925. Porta con sé i primi versi del poemetto Fotografie di Sorrento, che finisce di scrivere in Francia, tra Chaville e Parigi, al caffè Lavenue, come egli annota, e stamperà, poi, ne La notte europea. In una gita a Capri, il figlio di Gor’kij dimentica di far scorrere la pellicola dopo una posa, ed ecco allora che al panorama del golfo, da lui colto in una istantanea scattata a bordo del traghetto, viene a sovrapporsi l’immagine di una coppia successivamente ritratta. Questa figurazione incongrua è all’origine del poemetto e ne giustifica il titolo: «mi piacque l’errore che fissa e stampa/due mondi mescolati: /così scorre la vita,/celando in sé visioni».

Quell’illusione ottica registrata in fotografia induce Chodasevic a combinare, dentro la forma classica del verso puskiniano, la visione ‘diretta’ con quella mentale attraverso simultanee inserzioni della memoria. Come scrive Caterina Graziadei in una nota alla sua mirabile traduzione di Fotografie di Sorrento, il poemetto intreccia «dati storici con suggestioni e ricordi personali, tempi e luoghi distanti e diversi, il passato e il presente».

Così, nei versi, le esequie di un artigiano a Mosca si innestano in lacerti paesistici di ambiente napoletano. La successione rapida di scorci e prospettive che mutano durante una corsa in motocicletta sulla costiera, si acqueta nel rallentato svolgersi d’una processione del Venerdì di Pasqua: incede la statua e ondeggiano i gonfaloni come fluttuano i canti. E poi, di nuovo, al golfo, col Vesuvio «chiazzato di rozza gloria», si sovrappone l’angelo della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Pietroburgo: «l’enorme/guardiano della Russia/degli Zar, la testa riversa all’ingiù» precipita nello strapiombo sorrentino. Pietroburgo dopo la Rivoluzione va a coincidere con la distrutta Pompei. La bellezza naturale è armonia apparente. Nella frantumazione fotografica dei suoi equilibri traspare l’orrore di uno scempio improvviso.

Si delinea la visione della Rivoluzione russa che ha travolto e abbattuto, come il vulcano seppellì, un mondo. Cento anni prima del soggiorno di Chodasevic, nel 1826, Sil’vestr Fëdorovic Scedrin, dipingeva a Sorrento quelle sue vedute di pergolati sul mare, di terrazze sotto la luna e insenature calme al tramonto che stabilirono un modulo del paesaggio italiano, durato in Russia nei decenni successivi. C’era la suggestione di una natura amica che concilia gli uomini e li accoglie dolce.

Un aspetto vesuviano che si raccorda all’altro, del pari rilevante, rappresentato nella enorme tela di Karl Pavlovic Brjullov L’ultimo giorno di Pompei, dipinta tra il 1827 e il 1833. Sotto un corrusco cielo di cenere, fuoco e lampi crollano le statue dal sommo degli edifici. Una tumultuante folla di uomini e animali sente inevitabile la morte, il terrore segna volti, gesti e scomposti movimenti. Tra i fuggitivi un pittore innalza a scudo, alta sul capo, l’inutile cassetta dei colori, con i pennelli e una squadra, simbolo della regola costruttiva. Il sovrapporsi delle istantanee di Sorrento ripete dunque in Chodasevic il duplice stato d’animo della cultura russa dinnanzi al paesaggio del Vesuvio per oltre un secolo: attrazione con inquietudine, bellezza e orrore, fragile appagamento nel presente e nemesi prossima della storia.

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