“Così misi a fuoco Jimi Hendrix”, gli scatti esclusivi del fotografo Ed Caraeff

Frank invece in sala non c’è. Sarebbe, come dire, fuori target, in mezzo a quasi diecimila persone arrivate a Monterey, California del Sud fra LA e SF, che sinteticamente Otis Redding, un altro trionfatore della 3 giorni, abbraccerà dal palco chiamandoli «the love crowd». E’ l’estate dell’amore ’67, è l’estate del flower power e dei Love In, e John Phillips (sì, quello dei Mama’s and Papa’s che sognavano la California) ha organizzato il primo grande Festival rock, imbottendolo del meglio del meglio non solo di oggi, ma anche di domani. Oltre alle band americane (Jefferson, Dead, Paul Butterfield Blues Band, Byrds, Buffalo Springfield), è il lancio di Janis, di Otis, è il primo concerto americano del figliol prodigo James Marshall Hendrix.

Ma torniamo a noi: Jimi finisce gli stranieri nella notte, fa una capriola all’indietro, con la chitarra in mano, ca va sans dire, ma è un attimo, torna sulla sinistra, getta la chitarra a terra e… beh, se la scopa. Ma sul serio eh, in ginocchio spingendo come se ci fosse da conquistare l’ultimo orgasmo della terra. E quando è venuto, si alza, va vicino all’amp Marshall, prende uno di quei serbatoi del gas liquido per accendisigari ricaricabili (un cult dell’epoca), lo spruzza sulla seicorde sdraiata, si inginocchia, la bacia, compie un impercettibile segno orientale di ringraziamento, e le dà fuoco.

Ritualità e sciamanesimo rock sul palco, la gente ammutolita e gli occhi delle ragazze appalla e sotto shock mentre Jimi (qui il simbolismo si fa più confuso), prende la sua Stratocaster per il collo e la spacca in due. Una cosa tipo ti amo da morire. Non so che effetto farebbe adesso, sul palco si vede di tutto e il 99% è intrattenimento coreografato, ma allora fu forte.Ma allora non c’era You Tube, il Fest-film sarebbe arrivato molto dopo, l’eccezionalità di quell’istante passa alla storia catturata dalla macchina di Ed Caraeff. La foto più iconica di Jimi, una delle immagini che riassumono la storia del rock, è di un ragazzo di 15 anni, l’unico abbastanza abile da issarsi sulla sedia che si è portato sotto il palco, e fare clic al momento giusto. Il timing è tutto, nella vita. Sapete com’è, puoi fare tutte le foto che vuoi, ma se non fai quella che tutti i bambini fanno oh, non sei nessuno.

Ed risponde via mail dal suo motorhome, la casa da viaggio su cui scorrazza da qualche anno, da quando ha venduto tutto, incluso un archivio di 300mila foto. Ha lasciato alle spalle anche 30 anni di carriera come proprietario-Chef, e per ricuperare da problemi di salute si è chiesto quali fossero le sue priorità: questa, per esempio, un vintage VW Westfalia Camper Vanagon da cui sorride felice: «la cosa più cool che io abbia mai fatto».

«Quelli che pensano che son stato solo fortunato non sanno che mi sono diplomato in fotografia, e ho fotografato o fatto il design di 200 copertine, libri, merchandising, fiancate dei tour jet (che tempi, i rock-aerei privati), e manifesti su Sunset Blvd. Sviluppavo i rollini da solo, in camera oscura, sia b/n che colore, mi piaceva tantissimo lavorare sul materiale. Per Monterey l’oculista di mia madre mi prestò una German Voigtlander 35mm. Ma del Festival non sapevo nulla. Son stati i miei amici a portarmi direttamente da un Love In fino a Monterey, che sembrava un Love In gigantesco. Mi sono fatto accreditare dalla radio a cui vendevo le mie foto, tutto era bellissimo ma mi son reso conto che non sapevo dove dormire, tutti i motel in zona erano pieni. Abbiamo passato le notti andando da un open motel party all’altro, dormendo dove capitava».

«E’ stato un fotografo tedesco che l’aveva già visto a dirmi di lasciare qualche rollino per questo Hendrix. Non li avevo mai sentiti, mai vista una foto, come il 99% del pubblico quando questi tre, stilosissimi, sono entrati sul palco. Quando Jimi ha incendiato tutto per fare più impatto, to upstage The Who (che chiudevano spesso spaccando tutto), né io né nessuno ha pensato, lì per lì, che quella foto fosse così importante. Nessuna paura se sarebbe venuta o meno, una volta sviluppata. L’unica cosa che ricordo bene è il caldo della fiamma, stavo a un metro e mezzo, e la paura che la chitarra spaccata mi finisse in faccia. Ma nessuno mi ha chiesto se l’avevo ‘catturata’, e neanche Jimi e il suo manager ne erano particolarmente colpiti, anche se le mie foto gli son piaciute: quando è arrivato a LA ho fatto sega a scuola, gliele ho mostrate, e lui mi ha invitato a seguirlo per due anni. La sera dopo, li ho portati a un grande party a Bel Air, a casa Phillips, John e Michelle. Jimi era un tipo tranquillo, gentile. ‘Super-cool chill artist’. Poi, sul palco era un’altra cosa».

La foto esce su alcune riviste, anche in un collage su Life, ma è Rolling Stone che la rende iconica. «Il direttore Jann Wenner mi chiama nel 1986, l’hanno scelta come copertina di uno speciale sui concerti migliori, e mi chiede se potessero usare il mio bianco e nero (io scattavo sempre con la Tri-X tirata), colorandolo…». Aspetta… Come colorare? Ed scattava solo in b/n? Vuoi dire che quella foto che abbiamo visto per decenni, che ha mostrato tutto il potere della fotografia… non è la vera originale? Vero che non c’è nulla di più reale del falso, ma questo è un vero paradosso. «Oh, a me piace sia in b/n che a colori. Ma a renderla così famosa è stato Wenner», conclude Caraeff.

In tutti i casi, la fotografia di un artista -ma anche di un mondo- che non c’è più, è ancora lì a testimoniare quello che era il rock, e Jimi Hendrix, 53 anni fa.

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