Cosa non torna nella leggenda di Cefis e della morte di Pasolini

Dopo quasi cinquant’anni si cercano indizi in Petrolio, il romanzo incompiuto per l’omicidio del suo autore. L’idea che il mandante sia stato il presidente della Montedison è affascinante. Ma non ha nessuna prova.

di Paolo Morando

Carla Benedetti ha ragione, rendendo merito a Domani, nel suo articolo dell’8 luglio, «per aver dato spazio a una questione che si tende a considerare chiusa mentre non lo è affatto». Però bisogna intendersi: quale sarebbe la questione ancora aperta? Se parliamo del significato da attribuire a Petrolio nessun dubbio, trattandosi non di un libro tradizionale bensì di un’opera che lo stesso Pier Paolo Pasolini intendeva presentare «sotto forma di edizione critica di un testo inedito» (il che, paradossalmente, con la sua morte è in effetti avvenuto).

Se Benedetti si riferisce invece al massacro del poeta, un passaggio del suo articolo sembra tradire l’affezione a una tesi conclusiva: «Petrolio non è un’opera incompiuta per la morte (naturale) dell’autore (…). Al suo autore, assassinato mentre vi stava lavorando, fu impedito di portarla a termine». E cioè, sembrerebbe: il movente è proprio Petrolio. Quindi questione chiusa. Forse Benedetti non lo pensa. Molti lettori della “cefiseide”, la leggenda nera che riguarda Eugenio Cefis, dell’ultimo quindicennio però sì. E quindi qualche punto fermo va messo.

La fascinazione dell’omicidio

I buchi dell’inchiesta sulla morte di Pasolini e le due contraddittorie sentenze che condannarono Giuseppe Pelosi (con l’ipotesi di complici sancita dall’assise ma sbrigativamente esclusa in appello) consentono di immaginare che quella notte le cose siano andate diversamente. Lasciare però intendere che la ragione del delitto sta nella sola volontà di impedire a Pasolini di concludere Petrolio, significa imboccare ancora la strada che porta a Cefis, l’allora presidente di Montedison la cui figura Pasolini intendeva porre al centro della propria opera: letteralmente, lo ricorda anche Benedetti, poiché a dividere in due Petrolio dovevano essere tre suoi discorsi pubblici.

Una tesi da anni alimentata da saggi, articoli, interviste, addirittura inchieste giudiziarie: anzi, proprio dal lavoro dell’allora sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia sulla morte di Enrico Mattei la vulgata ha preso piede. Ma non è una tesi, al massimo un’ipotesi tra mille: tant’è che Calia non solo non indagò Cefis per la morte del presidente dell’Eni (il cui “svelamento” da parte di Pasolini ne avrebbe provocato l’assassinio), ma neppure mai lo convocò come teste. Vuoi mettere però la fascinazione dell’uccisione del poeta perché sul punto di svelare l’indicibile?

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