Dopo due mesi di astinenza, il prossimo 18 maggio i cattolici torneranno nelle chiese per partecipare alla celebrazione della messa.
Il protocollo d’intesa fra governo e Conferenza episcopale italiana è stato firmato ieri mattina a Palazzo Chigi dal presidente del consiglio Giuseppe Conte, dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese e dal presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti. La sera del 26 aprile, subito dopo l’annuncio da parte del premier dell’inizio della cosiddetta «fase 2» ancora senza messe, la Cei, con un duro comunicato, aveva accusato il governo di «compromettere l’esercizio della libertà di culto». Parole grosse, stemperate dallo stesso papa Francesco, che il giorno successivo aveva invitato tutti, soprattutto i vescovi, alla «prudenza e all’obbedienza alle disposizioni» delle autorità civili. Da lì è ripartita la trattativa fra Cei e governo, che si è conclusa ieri.
La Conferenza episcopale, mettendo la firma sotto la data del 18 maggio – rinunciando quindi anche all’anticipo di un giorno, per ricominciare con la messa domenicale del 17 maggio -, ha sotterrato l’ascia di guerra e accettato il cronoprogramma stabilito da Palazzo Chigi, che prevede, a partire dal quel giorno, la riapertura di molte attività commerciali, biblioteche e musei.
Il via libera è sottoposto ad un rigido protocollo, che ora parrocchie e comunità religiose dovranno rispettare: messe a numero chiuso a causa della capienza ridotta delle chiese per mantenere il distanziamento di almeno un metro fra i fedeli (in caso di sovrafollamento si potranno organizzare messe all’aperto o moltiplicare il numero delle celebrazioni per diluire i partecipanti); obbligo di mascherina; no allo scambio della pace; ostie consacrate distribuite dal prete o dal ministro dell’eucaristia con i guanti monouso e senza contatto fisico con i fedeli; divieto di cori organizzati per i canti; igienizzazione dei locali prima e dopo ogni celebrazione.
Il 18 maggio dovrebbe essere il giorno in cui anche le altre confessioni religiose riprenderanno le celebrazioni. Il condizionale è d’obbligo, perché se l’accordo con la Cei ha avuto una sorta di imbarco prioritario, invece gli accordi con le altre confessioni devono ancora essere firmati.
Il 5 maggio si è svolta una videoconferenza fra il direttore del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale e i rappresentanti delle comunità religiose (c’erano ebrei, musulmani, evangelici, ortodossi, anglicani, mormoni, baha’i e sikh); e la ministra Lamorgese ha spiegato di essere «a buon punto con la sottoscrizione di altri protocolli con tutte le aree confessionali, per consentire a tutti le migliori condizioni per lo svolgimento delle pratiche religiose, nel rispetto delle precauzioni necessarie per contenere la diffusione del virus».
Quindi per i non cattolici la data ufficiale ancora non c’è, ma presumibilmente sarà per tutti il 18. In caso contrario si aprirà un evidente caso di libertà di culto asimmetrica.