C’è chi sbufferà: uffa, sono realtà diverse! Non paragonabili. Giusto. A partire dalle due società messe a confronto. Di là gli statunitensi, con un Pil pro capite nel 2016 di 57.466 dollari pari a 46.879 euro, di qua i siciliani (dati Mef) con 15.305: meno di un terzo. Con larghe sacche di indigenza. Basti dire che gli isolani a rischio di povertà sono il 55,4% della popolazione. Dieci punti sopra la media del Mezzogiorno (46,4%), trenta sopra quella del Centro (24%) e quasi quaranta sopra quella del Nord (17,4%).
Ed è lì che le differenze, stando ai bilanci ufficiali, diventano spropositate. Se un dipendente della White House guadagna mediamente 89.000 dollari l’anno (72.497 euro al cambio di oggi) cioè solo il 35% in più del reddito d’un americano medio, il suo collega all’Assemblea regionale siciliana di euro ne incassa in media 146.500. Che come dicevamo non soltanto è il doppio di quanto Donald Trump paghi mediamente i suoi collaboratori ma il decuplo del reddito pro capite (14.174) di un siciliano delle province più povere come Enna o Agrigento. Il decuplo!
In tutta sincerità: è normale? C’è poi da stupirsi se i vescovi, letta la prima dichiarazione d’intenti di Micciché («Sono assolutamente contrario al taglio degli stipendi alti. Da tempo il mondo ha dichiarato fallito il marxismo: non tutti gli stipendi possono essere uguali, non tutto il lavoro è uguale»), sono saltati su indignati? C’è da stupirsi se, indifferenti alle raccomandazioni politiche («c’è la campagna elettorale!») hanno denunciato «la distanza tra il sentire della nostra gente e le prospettive di chi è interessato a salvaguardare i privilegi economici di pochi burocrati, a discapito di chi non ha un livello di vita dignitoso»? E se il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavero, assai ascoltato nella conferenza episcopale, ha rincarato la dose dicendo al Giornale di Sicilia che «la gente è stanca di sapere che ci sono fasce elitarie e privilegiate che guadagnano in un anno quanto fasce più povere non arrivano a guadagnare in una vita»?
I numeri, come ha spiegato Giacinto Pipitone sullo stesso quotidiano, bilancio alla mano, non lasciano dubbi. Saltato con la fine del 2017 il tetto dei 240 mila euro per i funzionari più pagati, tetto che lo stesso Micciché sta cercando ora di ripristinare, «ci sono dirigenti che, in attesa dei nuovi tagli, sono già passati a stipendi che raggiungono i 350 mila euro circa». Ventiquattro volte più di un agrigentino…
Ridotto da decine di prepensionamenti e pensionamenti a 180 dipendenti di ruolo, il personale del Palazzo dei Normanni, scrive Pipitone, pesa sul bilancio dell’Ars per 26.370.000 euro. Poco meno di quanto pesino su quello della Casa Bianca le 377 persone che mandano avanti quello che è considerato il palazzo del potere per eccellenza: 30.628.312 euro. A parte il costo folle dei vitalizi ai dipendenti in pensione (51 milioni, per un totale di quasi 77 milioni di euro!) occorre però aggiungere ulteriori esborsi per chi di ruolo non è.
E cioè 5.130.000 euro alla voce «contributi ai gruppi per il relativo personale» (la metà degli 11 milioni e 800 mila euro spesi all’anno per tutti i 220 dipendenti del Consiglio regionale Veneto, compresi gli addetti ai gruppi) che vanno a un’ottantina di collaboratori accumulati negli anni e non ancora di ruolo ma quasi: «stabilizzati» in attesa dell’ultima infornata definitiva.
Non bastassero, sta venendo fuori il solito diavoletto contenuto nei dettagli di quella che doveva essere la grande riforma della burocrazia siciliana varata nel 2014. Quando fu deciso che, per evitare il consueto carnaio di portaborse sottopagati e magari assunti come fossero domestici con un «contratto da colf», ognuno dei 70 parlamentari regionali avrebbe avuto «un budget di 58.700 euro annui per mettere sotto contratto un dipendente in categoria D6». Una delle più alte. Obiettivo dichiarato: consentire anche al più scadente dei deputati all’Ars di assumere un giurista, un economista, un professionista esperto di questo o quel campo che lo aiutasse a fare bene il suo lavoro di rappresentante del popolo.
Macché. Nella nuova opportunità, infinitamente più generosa rispetto ai soldi che incassavano prima (3.180 euro al mese) per i propri «attaché», gli eletti nella nuova Assemblea siciliana sembrano orientati a prendere ciascuno due o tre collaboratori pagandoli il minimo possibile. In certe aree dove un’intera famiglia vive con la «minima» del nonno, con 58.700 euro di stipendi ai «clientes» puoi distribuirne anche sei. Certo, niente ingegneri, urbanisti o commercialisti. Ma autisti, segretarie, commessi, «factotum» per accudire ambulatori clientelari… Tante paghette, tanti voti.
Non potranno dare una mano ai deputati perché facciano leggi migliori? Amen. Risultato: gli «attaché» in via di assunzione sarebbero al momento oltre centottanta. E la famosa «svolta» attesa da anni e anni con governi di destra e di sinistra e ancora di destra? Boh… Sarà per la prossima volta…
Corriere della Sera – Gian Antonio Stella – 24/01/2018 pg. 1 ed. Nazionale.