Come difendersi dall’arte di Instagram

Una mostra a Los Angeles ha raccolto opere di pittori che si promuovono sui social. Il risultato? Deludente Perché la bellezza, come l’amore, vive nel mondo vero
di Francesco Bonami
Che ne è della pittura, forse il mezzo espressivo più antico per raccontare storie attraverso le immagini, oggi che tutto è sia immagine che storia? Se l’è chiesto Olivier Zahm, fondatore e direttore della rivista Purple , influentissima nel mondo della moda, bulimico consumatore di immagini ed esploratore appassionato del mondo social. Anzi, se l’è posta sotto forma di una mostra che ha appena chiuso i battenti in una galleria di Los Angeles, la Nino Mier. L’esposizione era intitolata To Paint is to Love Again , dipingere è amare ancora, citazione del titolo di un libro di Henry Miller.
Lo scopo di Zahm era porci davanti al problema di come si possa distinguere oggi cosa ci piace e cosa non ci piace, nello tsunami d’immagini di dipinti postate quotidianamente su Instagram da una folla di artisti che cercano disperatamente di piacere e di farsi vedere. Alcuni di questi artisti, lui li ha selezionati e portati all’esposizione. Il risultato reale — non quello social o virtuale — che Zahm ha raggiunto, in questa mostra in uno spazio convenzionale, reale, è deludente o forse sconfortante. La pittura ormai è meglio vederla sullo schermo dello smartphone che dal vero. Anche perché guardandola su Instagram un appassionato al massimo mette un like di più o di meno; non è lì per scegliere un quadro da attaccare al muro.
E dunque la mostra immensa e senza confini che Zahm dice di aver trovato su Instagram, una volta sintetizzata dentro una galleria, si sfarina: le opere, le tele, rispetto alla loro stessa rappresentazione sui social sembrano qualcosa di vecchio e pieno di forfora.
La mia domanda è: ma è davvero colpa di Instagram? O magari è sempre stato cosi? I grandi artisti, e i grandi pittori in particolare, sono stati sempre pochi, anzi pochissimi: anche passeggiando per i corridoi del Louvre, degli Uffizi, del Metropolitan di New York o dell’Ermitage di San Pietroburgo, prima di arrivare a vedere quei cinque o sei capolavori senza tempo dobbiamo attraversare una sala dopo l’altra piene di artisti minori, dipinti di scuola di… o attribuito a… Resta il fatto che, per poter stare sulla parete di una galleria o di un museo, un’opera deve essere degna di quest’onore.
Certo, con Facebook o Instagram abbiamo la possibilità di vedere più cose, compresa più arte. Ma questo aumento della possibilità e della quantità d’immagini da guardare e di storie da ascoltare non ne aumenta la qualità. L’arte — mi spiace ripeterlo a coloro sono artisti ma non così tanto bravi, o a coloro che si credono artisti ma non lo sono — è proprio come uno sport. Ci sono quelli che corrono veloci e vincono le Olimpiadi, e quelli che corrono per perdere peso o solo per semplice piacere. Se sei è un pittore, sì, ma non molto talentuoso, Instagram non ti aiuterà a correre di più nel mondo dell’arte.
La mostra di Los Angeles dimostra esattamente questo. Su una cosa, però, Olivier Zahm ha ragione: dipingere è un gesto d’amore verso se stessi. Ed è il desiderio di raccontare o dire semplicemente qualcosa in quello spazio simbolico che è la tela, uno spazio che tutti, brutto o bello ciò che c’è sopra, riconoscono come arte. Così come l’amore, che quando è vero amore si riconosce. Se però dipingendo vogliamo obbligare gli altri a guardare e a dirci “mi piace ciò che fai”, il gesto d’amore si trasforma in gesto aggressivo, a volte violento: quando un dipinto è brutto non solo soggettivamente, ma oggettivamente, guardarlo fa male.
E anche in questo Instagram ci aiuta: se ci appare l’immagine di un brutto dipinto possiamo buttarlo via immediatamente. Ma grazie a Inst agram possiamo anche scoprire, come ci suggerisce Zahm, cose interessanti, sconosciute e belle. Anche se il bello poi diventa una questione veramente personale e la selezione che ne segue complicata. Instagram comunque ha sicuramente cambiato il nostro rapporto sia con la pittura che con l’amore. Se un tempo sia in arte che in amore si potevano avere delle sorprese, sia belle che brutte, oggi è più difficile. Grazie ad Instagram possiamo evitare d’innamorarci delle persone che già dal loro profilo non ci piacciono, così come possiamo evitare di andare a vedere mostre che già dai post su Instagram fanno chiaramente rabbrividire.
Detto questo, quando uno si trova davanti alla Primavera di Botticelli non c’è post che possa far provare la stessa emozione, cosi come d’altronde non c’è messaggio vocale di WhatsApp che possa dare la stessa sensazione del sentire la voce dell’innamorato o dell’innamorata quando è stretto (o stretta) fra le tue braccia. Dipingere e stringere rimarranno sempre una cosa più special che social.
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