Chi comanda tra scienza e politica

Sulle tracce di Max Weber per rispondere a domande che l’emergenza ha reso attuali Il nuovo libro di Massimo Cacciari
di Roberto Esposito
Mai come in questa fase la tensione tra politica e scienza sembra acuirsi. Entrambe reclamano autonomia l’una dall’altra e lottano per l’egemonia sulla società contemporanea. A quale delle due spetta la decisione ultima sulla nostra vita? Chi decide nello e sullo stato di eccezione — il sapere scientifico o il potere politico? Eppure quelle che appaiono nascere dall’emergenza in atto sono domande che ci accompagnano da almeno un secolo. Ad averle poste, con ineguagliata radicalità, è stato Max Weber nelle due conferenze sul lavoro intellettuale come Beruf — un termine che significa insieme professione e vocazione. Ad esse Massimo Cacciari dedica un’intensa riflessione dal titolo Il lavoro dello spirito. Saggio su Max Weber , appena edita da Adelphi. Al suo centro la distanza — vissuta con il pathos trattenuto di una sobria disperazione — di Weber dalla grande cultura borghese di Goethe e Schiller, di Kant e Fichte, fino a Hegel e Marx. In tutti loro, con timbri diversi, risuonava il motivo della liberazione dell’intelligenza dalla rete di vincoli che l’organizzazione capitalistica cominciava a tessere intorno al mondo. Anche l’idea di rivoluzione va ricondotta a questa esigenza: lo spirito umano non conosce limiti al proprio sviluppo se non quelli che esso stesso ha posto.
Agli occhi di Weber quella rete si è ormai irrigidita in una gabbia d’acciaio che modifica radicalmente la relazione tra politica, economia e tecnica, sottoponendo la prima al controllo delle altre due. È il grande tema che unifica le due conferenze, tenute tra il 1917 e il 1919 davanti a un pubblico di studenti, in cui si profila il destino della Germania e dell’intera Europa alla fine della prima guerra mondiale. Ma quelle parole, tutt’altro che datate, evocano problemi e contrasti ancora davanti a noi. Scienza e politica appaiono entrambe segnate dalla contraddizione. La scienza, se vuol essere tale, deve perseguire in maniera disincantata i propri scopi delimitati, rinunciando ai valori ultimi su cui non ha competenza. La politica, a sua volta, deve difendere il monopolio della decisione dalle pretese dell’economia e della tecnica. Ma nessuna delle due è in grado di farlo. Perché la scienza presuppone gli stessi principi da cui intende emanciparsi e la politica non può fare a meno di un apparato tecnico per effettuare le proprie decisioni. La democrazia dei moderni si misura dalla capacità di tenere insieme questi opposti — scienza e valore, tecnica e passione, ragione e potenza — senza sperare di integrarli. Le leggi che li incarnano sono inconciliabili, come le due etiche — della responsabilità e della convinzione — che a esse corrispondono. Anche se sia la scienza che la politica devono cercare di articolarle tra loro. Da questa tensione tragica nasce l’ethos straordinario che pone le due conferenze di Weber al culmine della nostra storia intellettuale.
Egli è lontano da ogni ricerca di mediazione, da ogni sintesi romantica, da ogni dialettica dei distinti. Croce, Gentile, Rathenau sono sullo sfondo. Ma non con lo stesso grado di radicalità. Solo Nietzsche, il suo vero precursore, regge il raffronto con Weber. Entrambi sanno che il futuro è in larga parte pregiudicato, ma che indietro non si torna. Non resta che affrontare quanto ci aspetta senza indietreggiare. Il confronto con Thomas Mann, cui Cacciari dedica pagine di rara densità, delinea tutta la distanza che separa Weber dalla cultura altoborghese. Fedele ai propri valori, Mann non vede la profondità del solco che il capitalismo ha tracciato con il mondo di ieri — colto invece in tutta la sua crudezza da Weber. Nessun accordo congiunge Kultur e Zivilisation , la scienza e la vita. Come la creatività del lavoro si frantuma nella particolarità degli interessi privati, così la politica rischia di degradarsi in pura amministrazione. Lo scettro è passato nelle mani dell’economia. Nulla può fermare il destino che avanza, anche se ad esso non bisogna arrendersi. Si preannunciano i grandi interrogativi del presente. Lo Stato occupa l’intero scenario della politica. Ma sarà capace di resistere all’incipiente globalizzazione? Può comporsi, la sua stabile radice, con la mobilitazione sradicante della tecnica? Forza sovrastanti, tra le due guerre, sembrano debellare liberalismo e socialismo, legati in uno stesso declino, a favore di regimi autoritari.
Sono questioni che si affacciano sul nostro tempo, precorrendone incertezze. La crisi delle democrazie rappresentative, oggi evidente, è ampiamente anticipata da Weber. Le pagine finali di Cacciari vanno lette insieme a quelle del suo precedente libro Il potere che frena (Adelphi), che compone col nuovo un indispensabile dittico. Nel nostro tempo cresce quella componente demagogico-plebiscitaria di cui Weber aveva intuito la forza di suggestione. La complessità sociale, di cui la politica attuale sembra aver smarrito perfino il ricordo, sfuma nel mito del Popolo sovrano. Ma quello che si chiama impropriamente ‘sovranismo’ è solo la maschera che copre il volto, ben altrimenti potente, del globalismo economico. Per chi, come Weber, aveva indagato lo spirito del capitalismo, non doveva riuscire difficile riconoscere il profilo di ciò che negli stessi anni Benjamin aveva denominato “capitalismo come religione”.
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