Che scemi in vespa con Nanni

Potremmo definire il suo un romanzo politico?

Volevo ragionare sulla Storia d’Italia dentro a quel calderone che è il 900, che sembra l’inconscio del secolo che stiamo vivendo: pieno di pulsioni cancellate, sogni sepolti, fantasie rimosse. Ecco, volevo far precipitare il 900 italiano in una saga famigliare, fitta di storie e personaggi tragici e insieme comici come la vita. Una specie di Cent’anni di solitudine con al centro la questione meridionale, vale a dire uno dei nodi più dolorosi e irrisolti del secolo scorso, oggi dimenticato. Volevo inserirmi nella tradizione romanzesca italiana più feconda, quella del racconto civile da Manzoni ad Arbasino.

Che fine ha fatto quella figura civile dell’intellettuale impegnato?

A un certo punto si sono sputtanati. L’impegno si è rivolto soprattutto alle proprie carriere. Contemporaneamente, tanto per lavarsi le coscienze, si firmavano appelli in difesa o contro qualsiasi cosa. Sempre perlopiù chiusi nel proprio salottino, sempre a fare la predica agli altri. Con esiti catastrofici. Prendete oggi Massimo Cacciari: è un uomo di grandissima intelligenza, un filosofo di prim’ordine. Ogni giorno ci dice da giornali e tivù che cosa c’è di sbagliato in Italia. La domanda, però, sorge spontanea: Cacciari è stato sindaco di Venezia, deputato credo per più di una legislatura: dove cavolo era quando le cose venivano fatte male e pensate peggio? È solo un esempio ma può far capire le ragioni dello sputtanamento.

I protagonisti del suo romanzo crescono in Calabria come sapendo di doversene andare. È il destino di chi nasce al Sud?

Solo in parte, perché le radici sono sempre sorprendenti. È vero che si va via per necessità o per scoprire il mondo, ma si finisce in una maniera o nell’altra col tornare alle origini: lì c’è qualcosa che ci riguarda nel profondo, che ha a che fare con il nostro stare al mondo, il rapporto con la vita e la morte.

Anche lei, come in particolare Valentino (uno dei personaggi di Sud), è andato via dalla Calabria.

Quando sono arrivato a Roma, era una città mortificata dagli anni di piombo. Poco dopo essermi trasferito, ci fu il rapimento Moro. Un clima terribile. Poi per fortuna arrivarono quegli anni scemi, corrotti e liberatori che furono gli 80. E conobbi Tondelli. Eravamo ragazzi, ci siamo divertiti parecchio. Pier è stato il mio amico del cuore. Quando andavamo in giro, di giorno come pure la sera per locali, era timidissimo, per trasformarsi poi nel privato: sapeva essere molto spiritoso e tagliente. Avevamo un nostro linguaggio fatto di doppi sensi, allusioni. Ricordo che a tutti quelli che incontravamo, amici in giro o i colleghi del mondo letterario, appioppavamo nomignoli piuttosto cattivi. C’era un lato primario nella nostra amicizia: eravamo uno il doppio dell’altro.

E andava in Vespa con Moretti?

Nanni l’ho conosciuto negli Anni 90. Abbiamo avuto un rapporto simbiotico, tanto che la sua compagna diceva per scherzarci su che eravamo fidanzati. Ricordo molti pomeriggi in giro a mangiare gelati nei posti più stravaganti. E poi abbiamo davvero girato tutta Roma in Vespa. Ho vissuto molto da vicino alcuni suoi film. Basti pensare che, durante le riprese di uno dei suoi primi film, poiché giravano dietro casa mia, la pausa pranzo la passavamo insieme da me con tutta la troupe. Ricordo che in Aprile dovevo interpretare un giornalista dell’Espresso pentito, che di spalle doveva dire che si vergognava del suo lavoro. Alla fine, decisi di non farlo.

Perché?

(Ride) Io a quell’epoca lavoravo davvero all’Espresso e temevo mi avrebbero licenziato.

 

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