10/08/2015 Nella riforma della Pubblica amministrazione appena varata due punti rischiano di danneggiare il nostro patrimonio culturale: la norma del silenzio-assenso e la sottomissione delle soprintendenze alle prefetture. E costituzionalisti e storici dell’arte si appellano al presidente Mattarella.
L’aver amministrato una città come Firenze dovrebbe avere sensibilizzato il presidente del Consiglio Renzi sul valore e sulla specificità del nostro patrimonio culturale e ambientale, ma la riforma della pubblica amministrazione appena varata dal Consiglio dei ministri dimostra che così non è.
Due passaggi della cosiddetta riforma Madia rischiamo di rivelarsi pericolosi, e potenzialmente addirittura una catastrofe, per i nostri beni, sia artistici che paesaggistici.
Il primo punto critico è quello del silenzio-assenso: entro 90 giorni le amministrazioni che si occupano di tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, beni culturali e salute dei cittadini devono rispondere prima che scatti appunto il silenzio-assenso. In altri termini, nel caso che non ci sia una risposta della pubblica amministrazione, si potrà procedere interpretando quel silenzio come un assenso. Se la norma nasce dal bisogno di avere risposte in tempi ragionevoli e certi, estenderla così com’è – anche con l’ampliamento dai 60 giorni inizialmente previsti ai 90 finali – al patrimonio è insensato e assurdo. In questo modo si disconosce appunto la specificità del bene culturale e ambientale: un conto è dare risposte su una questione prettamente economica, un altro su beni fragili e preziosi come le opere d’arte, i monumenti, siti archeologici, arre protette…
In questi casi è necessario che ci sia un’attenta valutazione di ogni aspetto, al fine di evitare che una parte del nostro patrimonio venga compromessa. Se poi Renzi e i suoi ministri anziché indebolire e svuotare di tecnici le soprintendenze le rafforzassero, allora sì i tempi di risposta si allungherebbero. La questione decisiva, comunque, è che in ambiti così delicati la risposta deve essere meditata, non frettolosa. Non sempre la rapidità è indice di bontà…
Il secondo punto che desta forti preoccupazioni è quello che di fatto assoggetta le soprintendenze alle prefetture: gli organismi preposti per loro vocazione alla tutela del patrimonio dovranno confluire all’interno degli uffici della prefettura. Ciò è grave sia perché limita, se non sopprime, l’autonomia delle soprintendenze, sia perché assegna una priorità, per così dire, a un organo burocratico (le prefetture) rispetto a un organo che invece ha competenze tecniche (le soprintendenze).
La sensazione è che Renzi, Madia e tutto il Consiglio dei ministri nutrano una concezione utilitaristica ed economicistica del patrimonio artistico e paesaggistico, compiendo così un drammatico errore di valutazione e di prospettiva. Sorprende che il ministro Franceschini, apprezzabile in altri momenti, non faccia sentire forte la sua voce di dissenso. Solo da un corretto riconoscimento della specificità di questi beni può scaturire una strategia politica in grado di tutelarli e valorizzarli in senso autentico. Qui invece si opera sulla base di una malintesa idea di “valorizzazione”.
Nel complesso, i provvedimenti contenuti nella riforma della Pubblica amministrazione relativi al patrimonio culturale e ambientale del nostro Paese hanno un profilo di incostituzionalità. Le due misure appena citate in che modo sarebbero coerenti con l’articolo 9: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»? Per questo oggi un gruppo di costituzionalisti, docenti di diritto e storici dell’arte dalle pagine di Repubblica si appellano direttamente al presidente della repubblica Mattarella affinché blocchi la legge, prima che sia la Corte costituzionale a farlo.