Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, ricorda il sacerdote di Firenze con cui ebbe un lungo rapporto di amicizia e condivisione spirituale
di Simona Poli
Nel 1966 stava nascendo la piccola comunità monastica di Bose sulla Serra di Ivrea, il nucleo monastico era in fase embrionale, abitato da poche persone, un esperimento visionario sospeso tra ruralità e spiritualità pensato e voluto dal suo fondatore Enzo Bianchi. «Avvenne allora il mio incontro con Ernesto Balducci », racconta Bianchi, che invitò il sacerdote fiorentino, di cui ricorre il centenario della nascita, a trascorrere qualche giorno in Monferrato. «Passò a Bose la fine dell’anno 1968 e su di noi scrisse quella straordinaria pagina del Diario dell’esodo ( Su di una collina, nei pressi di Biella, un gruppo di cristiani di diversa confessione ha occupato le poche casupole… Case per modo di dire: il vento fischia tra le fessure e la nebbia che le avvolge sembra quasi dipanarle e portarsele via. Non c’è nemmeno la luce elettrica. C’è la fede paradossale di questi amici che si propongono di preparare, in assoluta povertà, il cristianesimo di domani). Ci sentimmo interpretati ed io capii in quel momento che avrei potuto fare affidamento su Balducci per un cammino comune. Ne abbiamo fatta tanta di strada insieme, lui è uno dei grandi amici che spero di ritrovare nell’aldilà ». Firenze ha molto amato padre Balducci, lo ha quasi idolatrato, eletto a pastore di un gregge urbano assetato di sapere, per anni sembrava che la città non potesse vivere senza la sua parola. E adesso cosa rimane di quella predicazione? « Oggi purtroppo in pochi conoscono la sua eredità » , osserva Bianchi, « è una delle grandi figure dimenticate come Dossetti e Turoldo. Solo per la mia generazione rappresenta uno dei grandi profeti contemporanei, ahimé non più presenti nel pensiero attuale. La loro eredità dovrebbe essere riscoperta, a cominciare dalle scuole. Naturalmente la rivista Testimonianze continua a divulgare la sua parola e nel centenario della nascita per fortuna si riparlerà di padre Balducci. In questo oblìo, è ovvio, la Chiesa ha una grande responsabilità. Ricordo che ai funerali di Balducci non fu detta una sola parola sulla sua qualità di profeta della cristianità».
Tra i banchi del liceo degli Scolopi dove insegnava filosofia e sul pulpito della Badia Fiesolana Balducci era un’autorità assoluta ma in tanti momenti si è sentito solo. « Ha sofferto per questo, non era un uomo di potere, non aveva ” protezioni” politiche e non è mai diventato un simbolo come La Pira, di cui peraltro condivideva l’aspirazione verso la pace. Era una personalità umana, accogliente, affettuosa, con lui si potevano passare ore e ore in una conversazione aperta. Lo caratterizzava un cuore libero da pregiudizi, la forza della sua intelligenza. Balducci era un uomo di Dio ma completamente capace di dialogare con chiunque, pur essendo coltissimo e grande lettore di testi di teologia. Ricordava come una “grazia” le sue umili origini a Santa Fiora, il paese dei minatori sull’Amiata dove nacque il 6 agosto 1922. Convivevano in lui un’anima semplice e una mente complessa, nella sua formazione furono fondamentali studiosi francesi come Michel de Certeau, era legato ai gruppi di Mounier e alla rivista Esprit, io stesso lo accompagnai al convento domenicano de La Tourette costruito da Le Corbusier, un centro culturale di avanguardia. Davvero Balducci non ha mai messo muri tra sé e la gente, guardava il mondo con fede e speranza, invocava la giustizia » . Ma non fu un prete “ribelle”, come altri di quel tempo inquieto e moltiplicatore di idee. Si mosse invece sempre nel solco della religione cristiana, la sue omelie passionali erano animate da una fede profonda. « Obbediva », dice Bianchi, «alla vocazione di Dio, nella pace e nella giustizia».
Che cosa direbbe Balducci di questa guerra che sembra riportare l’Europa indietro di un secolo? « Ne sarebbe afflitto, lui vedeva la guerra come una sciagura assoluta, oggi avrebbe chiesto a gran voce di dare un apporto alla riconciliazione tra Russia e Ucraina per uscire dal baratro di questa strage inutile. Balducci non inseguiva utopie, era anzi concreto e lungimirante, per le sue posizioni spesso guardate con sospetto dalla chiesa fu classificato come un ” comunista” ma in realtà non ha mai avuto collocazioni partitiche. L’amore per l’uguaglianza tra i popoli era di stampo cristiano, diceva le cose che oggi dice Papa Francesco che a Balducci sarebbe di sicuro piaciuto moltissimo. Pensava a una salvezza mondiale costruita sull’uomo, aborriva il concetto di ” patria”, credeva fermamente che ogni differenza dovesse diventare fonte di ricchezza».
Un’espressione si associa immediatamente al nome di Balducci ed è ” l’uomo planetario”. Come spiegherebbe questa definizione a un ragazzo di oggi? «Intanto come una intuizione della sua mente prodigiosa, che lo rese capace di presentire la globalizzazione quando ancora questa parola non esisteva » , dice Bianchi. « Sentiva il pianeta come umanità senza muri, come amore fraterno dell’uomo per l’uomo. Cura, attenzione, responsabilità gli uni per gli altri, in totale assenza di conflitti. Un mondo solidale. E anche in questi giorni di tenebra la sua parola ci spinge a credere nell’umanità, nella possibilità di camminare verso la pace. C’è sempre un momento in cui ci si risolleva».
In una lectio su Balducci a Firenze, in occasione dei vent’anni dalla morte, lei ha detto che aveva dentro di sé una ” riserva escatologica”. Che significa? «Che Balducci possedeva l’orizzonte del regno di Dio che deve arrivare. La parola ultima di Cristo sulla storia, sugli eventi, sul mondo, una parole che porterà il mondo in cielo nuovo e terra nuova » . Una sorta di giudizio universale, insomma. «Proprio così. Credeva nella parola di Dio che avrebbe potuto restituire a tutte le vittime della storia ciò che loro non hanno avuto in terra, attraverso una trasfigurazione che Dio avrebbe operato. Un risarcimento universale per chi non ha avuto giustizia ed è stato vittima del male. Questa è la grande speranza che ancora oggi padre Balducci trasmette a chi legge i suoi scritti e si affida alla sua parola».