Brian Eno: “musica lentissima e pittura molto veloce”

La bellezza degli accostamenti inediti, le coppie di elementi stridenti, cori a ripetizione e litanie, musica per androidi e per altri pianeti. Da sempre la velocità, editata, distorta, ridotta al minimo o d’improvviso più sostenuta, è tra i punti cardine della ricerca di Brian Eno. Persino nelle sperimentazioni visive che, in qualità di artista, lo hanno portato ad esporre ovunque, dalla Biennale di Venezia (2006), al San Francisco Museum of Modern Art (2001). “Ho lavorato con la musica lentissima e, negli ultimi quarant’anni, anche con la pittura molto veloce” racconta Brian Eno in collegamento video all’inaugurazione, alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia, della mostra “Reflected”, visibile fino al 10 gennaio 2021.

L’ esposizione riunisce tre opere a base di luce e suono che dialogano con tre capolavori di Piero della Francesca (Polittico di Sant’Antonio), Beato Angelico (Polittico Guidalotti) e di Pietro Vannucci detto il Perugino (Cristo morto in pietà) parte della collezione. “La domanda che mi sono posto è stata: se entrassi in una chiesa nel 2020 cosa vorrei vedere? Quale esperienza potrei definire trascendentale al giorno d’oggi? Potrebbe trattarsi di una chiesa ma anche di una moschea o di un tempio, da ateo sono sempre stato affascinato dalla religione e comprendo la funzione che esercita nella società. Gran parte della musica che amo, poi, ha un’ispirazione religiosa, penso, ad esempio, al gospel… ”.

Brian Eno: “musica lentissima e pittura molto veloce”

Ecco la genesi dei lightbox, paesaggi di colore generati utilizzando una serie di luci a LED intrecciate. Uno spazio in cui è possibile fermare il flusso di immagini che scorre ogni giorno davanti ai nostri occhi ormai abituati agli schermi. “Ho notato esponendo le mie installazioni in più musei e gallerie una reazione insolita del pubblico, c’era chi rimaneva a guardare un’opera per ore, chi tornava il giorno dopo. Questo mi fa pensare che esiste uno spazio nella nostra vita per questo tipo di esperienze, uno spazio in cui davvero quasi niente accade. E’ esattamente l’opposto rispetto a guardare la tv. La messa a fuoco nell’esperienza televisiva è basata sulla rapidità, l’editing fulmineo, più accattivante e coinvolgente possibile. Dovremmo, invece, allenare l’esatto contrario”.

‘Musicista-non musicista’ come lui stesso si è definito più volte, inventore dell’ambient, produttore discografico e artista visivo, Brian Eno ha frequentato la scuola d’arte e, fin da giovanissimo, l’impatto tra mondi apparentemente distanti ha generato risultati sorprendenti sotto la sua guida. “Ho iniziato a sperimentare con la luce più o meno quando ho comunicato a lavorare con il suono”. Brian Eno riavvolge il nastro e torna agli anni della formazione: “La mia prima opera risale al 1966 con le limitazioni della tecnologia disponibile ai tempi, allora studiavo arte e cercavo una forma di pittura che fosse simile alla musica ovvero capace di cambiare con il tempo. Poco dopo ho lasciato la scuola per seguire la band come allora facevano molti studenti d’arte…” ricorda sorridendo. Il resto ha segnato la storia. Un tragitto che tocca gli inizi con i Roxy Music, le avanguardie soliste a partire dai Settanta che raggiungono risultati mai osati prima nel sistema discografico con l’album “Discreet Music” (1975)  e le collaborazioni celebri, tra queste, i Talking Heads, gli U2 e, più di recente, Coldplay (Viva la vida, 2008).  “Anche l’ambient music per me era un tentativo di far musica come se dipingessi. Non era parte di una narrativa, ma un’atmosfera, una stanza in cui potevi entrare o uscire quando volevi…”

La portata di questa rivoluzione è pari all’incredulità dei critici: “Quando ho lavorato al mio primo album di ambient nel 1975 una delle recensioni diceva che non aveva ritmo, progresso, storia e ho pensato: ‘ecco sarà un successo!’. D’altronde innovazione significa tante cose, sottrarre qualcosa, porre l’attenzione a un elemento prima di allora ignorato. E ancora ripetere il medesimo ordine di elementi ma molto, molto più lentamente”. A quarantacinque anni da allora Brian Eno si muove ancora tra spettri sonori e luminosi, attraversando in modo fluido le arti. Nessuna corrispondenza o analogia diretta, però, piuttosto suggestioni, stimoli. “Gli artisti fanno questo, avanzano proposte per nuovi mondi. Queste idee ruotano attorno a differenze, interrogativi e incoraggiano a guardare la realtà da nuovi punti di vista. Quando negli anni Venti e Trenta si è affermata la Bauhaus la domanda era come è sentirci un un mondo razionalista in cui ci relazioniamo con linee rette e angoli? Con la musica psichedelica la domanda era come è vivere in un mondo in cui la musica finisce in spirali e si dissolve? Con il postmoderno la domanda è stata come essere in un mondo in cui i valori sono negoziabili? Facciamo questo, misceliamo frammenti di universi distanti perché è il grande talento umano, immaginare altri mondi”.

Nella miriade di stimoli visivi a disposizione quali sono i messaggi da cogliere? “Uno dei messaggi dei miei lavori è ‘rallentate, frenate il ritmo delle vostre vite, lasciate che qualcosa vi succeda’. Se pensiamo alle esperienze che chiamiamo trascendentali, quando qualcosa di eccezionale ci accade, tutto ciò a che vedere con il lasciarsi andare. Se penso alla mia esperienza mi vengono in mente il sesso, le droghe, l’arte e la religione. Questi sono i luoghi non materiali in cui ci concediamo di venir sedotti e venir sedotti significa lasciarsi portare altrove. Viviamo una civiltà che punta al successo e che implica l’idea di controllo. E’ fondamentale, ma cosa dovremmo fare quando ci troviamo in una situazione che non riusciamo a controllare? La cosa intelligente è imparare ad arrenderci, seguire la corrente. E’ un vero talento arrendersi, uno dei tanti modi di essere coinvolti in qualcosa, non è un verbo passivo. Dovremmo allenarlo così come alleniamo il controllo” .

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