Braccio di ferro in Ucraina.

Il 20 dicembre del 2017 l’amministrazione statunitense di Donald Trump ha approvato un piano per inviare nuove armi all’Ucraina, tra cui anche i missili anticarro Javelin, che potranno essere impiegati dall’esercito ucraino nella guerra contro i separatisti filorussi. Si tratta di una decisione che si pone in rottura con l’orientamento seguito durante la presidenza di Barack Obama, il quale, pur cercando di contenere le pretese egemoniche russe nell’area, non aveva acconsentito alla concessione di armamenti così letali. Peraltro nel 2014 alcuni sistemi radar a corto raggio che gli Stati Uniti avevano inviato all’Ucraina caddero, nel corso di una precipitosa ritirata dell’esercito, nelle mani dei ribelli filorussi, creando imbarazzo e difficoltà agli Stati Uniti. Ora, attraverso alcune raccomandazioni e accortezze, relative anche alla collocazione delle nuove armi rispetto alla linea del fronte, difficilmente una simile situazione si ripeterà. Ma naturalmente resta il fatto che questa iniziativa degli Stati Uniti ha provocato irritazione da parte di Mosca.

I tentativi di una gestione diversa del conflitto attraverso lo schieramento sul terreno di una forza di pace si sono scontrati con i diversi punti di vista delle parti in causa rispetto a come questa forza avrebbe dovuto comportarsi e dove avrebbe dovuto insediarsi. Per i russi e i loro alleati i peacekeeper avrebbero dovuto inserirsi tra i contendenti, senza entrare nel territorio delle repubbliche separatiste; un’impostazione che non è stata accettata dalle controparti. Questo contrasto ha bloccato le trattative e sembra lontana una soluzione negoziata del vasto contenzioso.

La crisi ucraina viene affrontata dagli Stati Uniti e dalla Russia all’interno di un confronto più vasto che ha portato alcuni osservatori a parlare di un paradossale, per certi versi, ritorno alla guerra fredda. Rimane il fatto che gli interessi locali sono spesso drasticamente compressi da considerazioni geopolitiche globali e dal confronto fra le potenze maggiori. In questo contesto il mancato incontro tra Porošenko e Trump a Davos, si presta a diverse interpretazioni, che travalicano la semplice mancanza di tempo che è stata posta come giustificazione. Il segretario di Stato Rex Tillerson ha comunque rassicurato Porošenko sull’appoggio degli Stati Uniti, chiedendo però un’azione più incisiva di governo, soprattutto nel contrasto alla corruzione.