«Biennale-Firenze, un legame che porta benefici a tutti» La cerimoniaa Palazzo Vecchio Florence Art Week,un pieno di eventi Via Maggio diventa«Bellissima»

Il segretario generale Moretti: «Il nostro è un turismo d’élite, ma le ricadute sono diffuse»

 

Palazzo Corsini, piano terra, punto di osservazione dello sgabello tra le due scalinate. Il panorama offre: a destra lo stand Robilant e Voena, di fronte il corridoio con Giovanna Pratesi ed Enrico Frascione, a sinistra gli uffici. È da lì che passano tutti. Nel giro di quattro minuti: l’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato, il direttore di Sothesby’s Italia, un gallerista di Houston in giacca rossa specializzato in pittura fiorentina. «Ed è casuale il punto, casuale il momento, casuale il passaggio. Questa è la Biennale — esordisce il segretario generale Fabrizio Moretti, mercante e mente della mostra — Solo in questo secondo pomeriggio di preview ho visto un pubblico bellissimo dall’America, dalla Francia, dall’Inghilterra, curatori di musei, collezionisti tra i primi al mondo. Quelli lì (indica con la mano) sono della Frick Collection di New York, questi altri del Getty…»

Moretti, è Firenze che aiuta la Biennale a crescere, o la Biennale che aiuta Firenze?

«Si aiutano a vicenda. Da una parte la mostra sposta il concetto di turismo da quello di massa a quello elitario. Dall’altra le ricadute sono per tutti. E la mostra stessa va oltre Palazzo Corsini: per la prima volta si espande in percorsi tra gallerie che ne fanno una vera settimana dell’arte. La Biennale esiste perché siamo nel centro di Firenze, in un palazzo straordinario. Una mostra d’eccellenza con i migliori mercanti del pianeta specializzati in arte italiana».

Messa così, sembra un lavoro facile. Ma non lo è.

«È semplice invitare le persone a Firenze: è un sogno che noi gli regaliamo. Abbinano alla mostra la visita alla città, allo shopping, all’incontro con artigiani e restauratori. In città abbiamo il numero più importante di restauratori al mondo, mestiere che ovunque sta sparendo tranne qui».

Poi c’è l’indotto.

«Che è importante. Tassisti, albergatori, ristoratori mi fermano e mi ringraziano. Al Coco Lezzone qui accanto mi hanno chiesto se potevo fare una Biennale di un mese».

Non è una mostra elitaria?

«Non lo è. Chiaramente il nostro è un turismo di lusso ma credo che l’arte appartenga al mondo, anche quella da comprare e vendere è giusto che venga almeno vista da tutti. Mi prenderete per folle ma sono favorevole all’apertura gratuita dei musei. Visto che l’introito annuo di un museo equivale alla spesa di un paio di giorni per l’esercito».

Non sono parole da mercante.

«Credo che si possa lucrare su mostre ed eventi, non sui musei. Sono anche favorevole a dare in affitto gli spazi pubblici a enti privati, se garantiscono sicurezza e rispetto».

A proposito, lei da poco è entrato nel Comitato scientifico degli Uffizi. Ha parlato con Schmidt di queste idee?

«Non credo che l‘idea dei musei gratuiti farà felice molti. Ma anche se sono uno di centro-destra, su questi temi mi vedo di estrema sinistra».

Quale contributo darà agli Uffizi?

«Mi piacerebbe aiutare a trovare il prezzo più congruo per le acquisizioni».

Parliamo dell’evoluzione del gusto.

«C’è sempre uno zoccolo duro di mercanti dal gusto classico. E non per il costo. Perché rispetto all’arte contemporanea quella antica è sottovalutata: con un milione di dollari si compra un disegno di Basquiat o un pezzo capace di colmare una lacuna degli Uffizi».

È scettico sul contemporaneo?

«No, da quando ho preso in mano la manifestazione ho cercato di contaminare . E non escludo in futuro di ampliare ancora. Il punto forte comunque è quello che va dal XV al XIX secolo».

Da che parte guarda il mercato oggi?

«Si rivolge a un pubblico che cerca trofei. Ma c’è un altro mercato, un piccolo mondo, ma importante, ed è qui».

Il pezzo più pregiato in mostra a quanto arriva?

«Non lo so. Milioni di euro. Milioni e milioni».

Infine, la Biennale cosa significa per la città?

«Un progetto di bellezza, di cultura, di eleganza, che soprattutto in questo momento storico di bassezza culturale e pochezza intellettuale, credo sia importante. Perché anche se non riusciremo a salvare le sorti del mondo, facciamo capire che c’è una parte di esso che crede nell’eleganza, nell’arte, nel bello, che crede nell’educazione. Quando invece viviamo in un mondo che è incarnato dal contrario di tutti questi sostantivi».

 

https://corrierefiorentino.corriere.it