di Andrea Silenzi
Gianni Morandi aveva capito tutto già tanti anni fa: il ragazzo destinato al Vietnam (ricordate C’era un ragazzo che come me… ?)
amava senza distinzioni le due band più grandi di sempre. Per tanti appassionati è rimasta invece sospesa la domanda del secolo: stai con i Beatles o con i Rolling Stones? La risposta è spesso frutto di una sensazione istintiva, che rimanda a categorie dello spirito non ben definite. Per quelli come Gino Castaldo, che non ha mai sentito il bisogno di scegliere tra le due opzioni, le risposte diventano così complesse e articolate che meritano lo spazio di un libro.
Beatles e Rolling Stones. Apollinei e dionisiac i (Einaudi Stile Libero, in libreria da domani) è una ricca ed esaustiva disamina di pro e contro, di differenze e convergenze che hanno animato l’epica (e l’epoca) del rock attraverso pensieri e parole delle sue massime espressioni. Che normalmente vengono incasellate in due categorie classiche, figlie del pensiero nietzschiano, apollinei i Beatles e dionisiaci gli Stones.
Come scrive lo studioso John McMillian, “i Beatles erano eruditi e gli Stones viscerali, i Beatles utopici e gli Stones realisti”. Ordine e caos, genio e perversione. Ma è proprio l’analisi di queste differenze e la loro disamina approfondita che restituisce ai lettori un quadro più realistico e meno manicheo di un’intera epoca, visto che i fatti che riguardano le due band sono diventati nel tempo un calendario delle trasformazioni del mondo moderno. Perché in realtà entrambe portano con loro immagini e fantasie di un’intera stagione della cultura pop globale: buona parte della loro diversità, scrive Castaldo, “era dovuta a una deliberata scelta d’immagine, ma i Beatles non erano poi questi campioni d’innocenza e gli Stones non erano diabolici come amavano far credere”. I Beatles, almeno fino ai loro ultimi mesi, si sono sempre mossi come un collettivo, mentre gli Stones hanno continuamente esportato un’immagine anarchica e individualista. Quando hanno deciso di scegliere un logo, i quattro di Liverpool hanno optato per un mela verde, biblica e naturale, mentre Jagger e gli altri hanno lanciato una bocca con la lingua bene in evidenza. Ma la Storia ha poi detto altro, regalando giravolte che sembrano fatte apposta per mischiare le carte. A cominciare dalle tragiche allucinazioni di Charles Manson, che per i delitti compiuti dai suoi adepti sosteneva di essersi ispirato al White album dei Beatles, fino allo scivolamento psichedelico degli Stones nell’epoca dell’album Their satanic majesties request , 1967.
Le due band si sono sempre osservate a distanza ravvicinata, frequentandosi, scambiandosi idee e perfino consigli manageriali: nel libro Castaldo “suggerisce”, non troppo seriamente, che la fine dei Beatles addirittura si possa attribuire a Mick Jagger. I fatti: durante le session dello show Rock’n’roll circus (un album live zeppo di ospiti interamente ripreso in video, 1969), Jagger consigliò a John Lennon il loro manager, Allen Klein, una figura spregiudicata che aveva fatto avere agli Stones percentuali più alte sulla loro musica. I Beatles, orfani di Brian Epstein, erano alla ricerca di una guida per il loro complicato business. Jagger non rivelò però la vera natura di Klein, che aveva raggirato la sua band. Di fatto, Klein riuscì a convincere i Beatles, con la sola eccezione di Paul McCartney che voleva affidarsi a suo suocero Lee Eastman. Il conflitto tra le parti portò alla fine del gruppo. Difficile pensare a un piano preordinato, ma certo il rapporto di fiducia e di confidenza tra le due band era alto alla luce anche di un delicato argomento come il denaro.
È sulla loro dialettica che si fonda un’intera generazione di artisti. Tutti i protagonisti, figli del Dopoguerra, hanno combattuto le regole del “vecchio mondo”. Nel libro non ci sono vincitori e vinti. Nell’eterna divisione tra tifoserie (Michelangelo o Raffaello, Pelé o Maradona), l’unica verità resta il senso della bellezza, la sola luce per chi continua a cercare una vita migliore.