Insomma, il canovaccio seguito dal Papa ha rispecchiato i discorsi precedenti solo in parte. L’aspetto più sorprendente è stato il giudizio indiretto dato da Jorge Mario Bergoglio su quanto è successo in Vaticano nell’ultimo anno: la sostituzione del cardinale Gerhard Muller dalla Congregazione per la dottrina della fede; del supervisore generale Libero Milone; del vicedirettore dello Ior, Giulio Mattietti. Sono state decisioni prese secondo dinamiche apparse poco trasparenti. E hanno creato tensioni e sconcerto per le modalità con le quali sono avvenute. Ma Francesco le fa proprie completamente: nel metodo e nel merito. Anche se la sua presa d’atto lascia intuire un’amarezza profonda.
Il Papa sottoscrive e quasi rivendica la cacciata di «persone selezionate accuratamente per dare maggiore vigore alla riforma»; e corrotte, invece, «dall’ambizione e dalla vanagloria. E quando vengono delicatamente allontanate», ha ricordato, «si autodichiarano erroneamente martiri del sistema, del “Papa non informato”, della “vecchia guardia”, invece di recitare il “mea culpa”». Quell’avverbio in particolare, «delicatamente», sembra usato apposta per smentire quanto disse Milone, l’uomo chiamato dal Papa a indagare sulle finanze vaticane: e cioè che non aveva dato dimissioni consensuali come era stato comunicato, ma era stato forzato con la minaccia dell’arresto.
Milone chiamò in causa il sostituto alla Segreteria di Stato, monsignor Giovanni Angelo Becciu, e il capo della Gendarmeria vaticana, Giandomenico Giani. Ebbene, Francesco mostra di voler dare a entrambi una copertura totale. E rivaluta la «vecchia guardia», difesa contro chi a suo avviso la usa come capro espiatorio per spiegare il proprio licenziamento: un altro riferimento impensabile all’inizio del pontificato. Sono giudizi che ufficializzano la saldatura di fatto del «Papa rivoluzionario» con quella Curia da sempre percepita come un’incognita e una minaccia nei suoi confronti; e viceversa. La sensazione è che invece, in qualche misura, Francesco e la Curia abbiano firmato, se non un’alleanza, una tregua.
Si tratta di cambiamenti che prefigurano anche nuovi rapporti di forza interni. E possono apparire contraddittori o almeno poco decifrabili. Dopo un quinquennio di pontificato, il bilancio delle riforme è l’uscita progressiva di scena delle persone scelte da Francesco per realizzarle; e l’ammissione che i cambiamenti procedono con grande fatica, soprattutto in Vaticano. Verrebbe da dire che Bergoglio è diventato più «romano». Resta da capire se è una «romanità» che ufficializza un’involuzione del papato, come sostengono gli avversari; oppure una sua evoluzione positiva verso una maggiore unità con le strutture vaticane, e verso un governo meno venato dal pregiudizio anti-italiano del Conclave. Ma una cosa è chiara: la rivoluzione, se davvero questo era il mandato, è archiviata.
Corriere della Sera – Massimo Franco – 22/12/2017 pg. 1 ed. Nazionale.