Barile, l’eleganza in cattedra.

Alla Facoltà fiorentina di Scienze politiche Cesare Alfieri non ci siamo mai fatti mancare nulla. Anche a costituzionalisti stavamo non bene ma benone. Giuseppe Maranini, nel dopoguerra un anarchico con senso dello Stato, coniugava diritto e storia da par suo. Albero Predieri spaziava dal diritto alla filosofia e a molto altro ancora, un vulcano d’idee in perenne eruzione. Silvano Tosi, con il quale mi sono laureato, aveva una padronanza del diritto parlamentare come pochi altri. Tuttavia non sottovalutavo il fatto che al piano di sopra di via Laura 48, nell’abbaìno come dicevamo noi che facevamo una sana concorrenza alla Facoltà di Giurisprudenza, insegnava uno studioso fuori dal comune come Paolo Barile. L’eleganza fatta persona. Nel rimirarlo, me ne stavo come quei bambini poveri che sotto Natale guardano con il nasino all’insù vetrine di negozi colmi di ogni ben di Dio.

Era elegante in tutto, Barile. Dritto come un fuso, per cominciare era elegante nel portamento. Come sanno esserlo i tennisti di talento. Perfezionista in tutto, si allenava di mattina presto al tennis club delle Cascine con il mitico maestro Gino Gerli. Giocava in coppia con Paolo Caretti, un campioncino come il padre Lanfranco. E di solito aveva come avversari altri due suoi allievi: Roberto Zaccaria e Stefano Merlini. Uomo giusto e di buon cuore, Merlini promuove all’esame di diritto costituzionale Matteo Renzi. Mentre le due creature predilette dell’ex presidente del Consiglio — la riforma costituzionale e l’Italicum — per ironia del destino sono state bocciate dal popolo e dalla Consulta.

Merlini ha dedicato al Maestro due importanti contributi: la voce «Paolo Barile» per il Dizionario biografico degli italiani della Treccani e un bel saggio sugli anni giovanili di Barile per il numero di dicembre della Nuova Antologia . Zaccaria e Merlini, due lenze che ve le raccomando. Quando Caretti non era in forma, provvedevano loro a darla vinta a Barile, commettendo errori tennistici non degni della loro fama. E talvolta si cimentava con alterna fortuna anche un fuoriclasse come Beppe Morbidelli. Barile poi sfidava a tenzone anche i campioni della Camera dei deputati. Personaggi straordinari come Giuliano Amato, Tonino Maccanico, Andrea Manzella. E non sfigurava affatto. Da quel vero signore che era, Barile metteva tutti a proprio agio. Ti faceva sentire importante, sempre disponibile all’ascolto. Così com’era elegante nella conversazione e nella scrittura. Anche in questo degno erede di Piero Calamandrei. Le sue Istituzioni di diritto pubblico hanno avuto tante edizioni e sono di una chiarezza espositiva esemplare. Le idee cartesiane chiare e distinte Barile le ha manifestate in ogni occasione. Come docente, come avvocato, come opinionista della Repubblica , come ministro per i Rapporti con il Parlamento nel governo Ciampi. Giurista delle libertà, ha rilevato Merlini. Giurista delle garanzie costituzionali, ha sostenuto Enzo Cheli, il primo dei suoi allievi. Verissimo. Perché ai diritti di libertà Barile ha dedicato un’infinità di saggi giustamente famosi e ha sempre sottolineato l’essenziale ruolo di garanzia della Corte costituzionale, con la quale sovente ha dialogato anche nella sua veste di avvocato. Se non ci fosse bisognerebbe inventarla. Altrimenti avremmo un Potere politico assoluto. Senza un arbitro che faccia rispettare le regole.

Il temperamento del potere è stato uno dei suoi cavalli di battaglia. Ecco che Barile elabora il concetto di indirizzo politico costituzionale, assai discusso in dottrina, volto per l’appunto a condizionare in particolare l’indirizzo politico del governo e della sua maggioranza parlamentare. Difatti questi soggetti, sottolinea Barile, sono vincolati doppiamente alla suprema legge della Repubblica. Perché la Costituzione può essere considerata un fiume dagli argini robusti che non possono essere travalicati. Ma la Costituzione ha altresì una serie di finalità che vanno perseguite dai legislatori. Barile dedica due monografie alla figura del presidente della Repubblica. Calamandrei sul Ponte aveva salutato il forte messaggio d’insediamento al Quirinale di Giovanni Gronchi nel 1955, volto alla piena attuazione della Legge fondamentale, con parole famose: viva vox constitiutionis. E Barile è pienamente d’accordo.

Ma la suprema magistratura dello Stato è una figura dalle molte facce. Per l’ambiguità dei poteri conferiti. Per la personalità degli inquilini del Colle. Per le più diverse condizioni politiche. Perciò al Quirinale abbiamo una fisarmonica che si allarga e si restringe a seconda delle circostanze. Così Barile plaude a Gronchi — al pari di Maranini, che lo concepiva come il castigamatti della partitocrazia, la sua bestia nera — ma si dissocia apertamente da Cossiga. Contrario in passato all’elezione popolare diretta del capo dello Stato, in un breve saggio redatto nel maggio del 1982 e pubblicato tre anni dopo negli Scritti in onore di Vezio Crisafulli , Barile se ne fa paladino. A condizione che siano previsti il ballottaggio, il divieto di rieleggibilità e la conservazione dei poteri attuali. Spiega: «Col meccanismo del ballottaggio, una riforma del genere porterebbe a far sì che in sede di seconda votazione (di ballottaggio) dietro ai due candidati si formerebbero già precisi e chiari gli schieramenti di forze, i quali non potrebbero essere che quelli di un governo di domani, nell’ambito parlamentare». Erano gli anni del pentapartito. È evidente che Barile considera questa riforma un espediente per porre fine alla democrazia bloccata, realizzare l’unità delle sinistre e ottenere la democrazia compiuta. Cioè l’alternanza al potere tra due blocchi contrapposti. Poi inveratasi nel 1994 grazie al Mattarellum, per tre quarti maggioritario, e alla vincente discesa in campo di Silvio Berlusconi contro la gioiosa macchina da guerra allestita da Achille Occhetto.

Come ministro del governo Ciampi, Barile ha colleghi autorevoli come Livio Paladin, Sabino Cassese, Leopoldo Elia, Giovanni Conso. Ma il dipartimento per i Rapporti con il Parlamento in apparenza non fa per lui, mai stato rappresentante del popolo. In tale ruolo si sentono a proprio agio e danno il meglio di sé parlamentari di lungo corso come Anna Finocchiaro o Oscar Mammì, di professione bancario, che durante l’ostruzionismo sulla scala mobile a Montecitorio passava le nottate a giocare a scopone scientifico con i suoi avversari del Pci. Uomo della previdenza, Barile però ha l’accortezza di nominare capo di gabinetto il compianto Carlo Chimenti. E questo alto funzionario del Senato meritatamente in cattedra gli fa un po’ da guida indiana. Il neoministro avrebbe voluto la riforma della Rai, che rimase al palo, e il ballottaggio nel Mattarellum.

Ma l’attuale capo dello Stato optò invece per il turno unico temendo, com’era accaduto in occasione delle amministrative, che al ballottaggio gli avversari si sarebbero coalizzati contro la sua Dc. Che però di lì a poco sparisce ugualmente. Barile ha avuto una giovinezza avventurosa. Già magistrato, in tempo di guerra non parte per la Russia a causa di un grave incidente motociclistico. Dopo l’8 settembre milita nella Resistenza. Catturato e condannato a morte con Adone Zoli e altri antifascisti, si salva probabilmente grazie all’intervento di Benito Mussolini, la cui moglie Rachele era legata alla famiglia Zoli. E per l’appunto Zoli, quand’era presidente del Consiglio, nel 1957 consegnerà ai familiari le spoglie del Duce. Poi Barile rinuncia alla magistratura. Entra nello studio di Calamandrei. Vince la cattedra universitaria e insegnerà prima a Siena e poi a Firenze. Ha avuto una sola vera grande passione politica: il Partito d’Azione. Amante della musica e del teatro, ha avuto amici del calibro di Eduardo De Filippo, Paolo Grassi, Giorgio Strehler.

A cent’anni dalla nascita, dopodomani, venerdì 1 dicembre, i suoi allievi da decenni in cattedra dedicano a Barile un convegno all’Università. Parleranno di lui anche due eminenti amici e colleghi di antica data adesso — vedi caso — giudici della Consulta: il presidente Paolo Grossi e Amato. Il giurista delle libertà, il giurista delle garanzie costituzionali, non avrebbe potuto aspettarsi di meglio.

 

Mercoledì 29 Novembre 2017 Corriere Fiorentino.

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