di Massimo Gramellini
Il pensatore atipico Mario Balotelli sostiene che un nero non può votare per Salvini e tantomeno diventare suo senatore. Si riferisce a Toni Iwobi, imprenditore bergamasco nato in Nigeria, leghista della primissima ora e immortalato sulla pagina Instagram del centravanti accanto al barbuto leader, mentre indossa una maglietta molto bianca con la scritta «Stop invasione». Quanto basta per considerarlo la versione italiana di Stephen, il nero che in «Django» di Tarantino lavorava al soldo degli schiavisti.
A Barack Balotelli mi permetto di rivolgere un plauso, un’obiezione e un auspicio. Il plauso è per avere spezzato l’abulia politica del mondo del calcio: chi è cresciuto incassando in silenzio i buu e le banane, su certi temi ha maturato una sensibilità speciale. L’obiezione, invece, è nel merito.
Ogni uomo è libero di votare per chi gli pare, anche quando la sua preferenza confligge con la sua appartenenza. Come esistono poveri che appoggiano miliardari (per esempio gli operai elettori di Trump), così possono esserci neri che fanno la ola a Salvini. La storia personale del signor Iwobi lo avrà portato a quella scelta: contestargliela significa inchiodarlo al colore della sua pelle.
Fin qui il plauso e l’obiezione. Resta l’auspicio: che gli dei del politicamente corretto abbiano pietà di Balotelli ed evitino adesso di trasformarlo nel nuovo Martin Luther King o, addirittura, nel nipote prediletto di tutte le Boldrini.