di Rosaria Amato
ROMA — Possiamo riassorbire in parte gli effetti della guerra, anche se si dovesse ancora protrarre a lungo, gli strascichi del Covid e l’inflazione ben al di là di ogni aspettativa, ma non possiamo fare a meno del gas russo. Se ci fosse un arresto delle forniture da Mosca per un anno a partire da maggio, ipotizza la Banca d’Italia nel Bollettino di aprile, la scarsità di energia da un lato porterebbe l’inflazione all’8 per cento, e dall’altro ridurrebbe produzione, occupazione e scambi con l’estero: il Pil scenderebbe di mezzo punto quest’anno e l’anno prossimo. È il peggiore dei tre scenari delineati per l’economia italiana dal Bollettino di Bankitalia di marzo: il primo, che è incardinato sulla ottimistica previsione di una conclusione rapida della guerra, si allinea alle previsioni del Def appena pubblicato dal governo, indicando una crescita del 3% e l’inflazione al 4%. Il secondo scenario invece tiene conto della possibilità che la guerra si protragga, e che la domanda estera si contragga dell’1% per via del mancato apporto degli scambi con la Russia e con l’Ucraina. Il Pil crescerebbe quest’anno del 2,2% e l’anno prossimo dell’1,8%, con un’inflazione del 5,6% nel 2022 e del 2,2% nel 2023.
Il terzo scenario, due anni consecutivi di recessione con un calo dello 0,5%, non è neanche l’ipotesi peggiore: «Nell’attuale contesto di fortissima incertezza non si possono escludersi scenari ancora più sfavorevoli », si legge nel Bollettino. Incertezza che frena le previsioni: gli scenari sono solo ipotesi che tengono conto di alcune variabili, precisa Bankitalia. Al momento l’unica previsione attendibile, tenendo conto di un campo di oscillazione di mezzo punto al rialzo e al ribasso, è quella sul primo trimestre di quest’anno, con un Pil in calo dello 0,7% sul periodo precedente.
Di tutte le variabili, la guerra è quella che ovviamente sfugge di più alle previsioni, con il suo impatto sui prezzi del petrolio, del gas, delle materie prime e sugli scambi internazionali. Con l’unica certezza che non si possa in nessun caso far fronte immediatamente alla perdita delle importazioni italiane di materie energetiche, che provengono dalla Russia per oltre un quinto, con una quota che per il gas naturae supera il 45%. Anche ricorrendo ad altri fornitori come l’Algeria o, per il gas liquefatto, gli Stati Uniti e il Qatar, e aumentando l’estrazione nazionale, Bankitalia calcola che entro la fine del 2022 si arriverebbe a compensare i due quinti del mancato import russo. Solo nel medio periodo( quei 24-36 mesi indicati anche dal ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani) , grazie anche alle fonti rinnovabili, ai rigassificatori e a nuovi fornitori si compenserebbe pienamente il taglio delle forniture russe.
E mentre si cerca di valutare nel breve gli effetti della guerra, il Def rivede al ribasso le stime sull’impatto macroeconomico del Pnrr: il Pil nel 2026 salirà grazie alle riforme di 3,2 punti percentuali, invece dei 3,6 stimati quando venne presentato il piano, ad aprile dello scorso anno. Un calo di 0,4 punti dovuto a posticipi di spesa e ad una «meno rapida dinamica del cronoprogramma».