Castagna e Cimbri: nozze possibili. Con gli incentivi in manovra, Siena più appetibile
Fabrizio Massaro
È di due miliardi la dote fiscale che, sulla base della manovra presentata dal governo, Mps può portare a una banca acquirente, per esempio Unicredit. È il tesoretto che in caso di fusione si può ottenere dallo Stato come credito fiscale. Sarebbe un ulteriore aiuto da parte del Tesoro, che ha il 68% dell’istituto senese. E si aggiungerebbe all’aumento di capitale che potrebbe essere necessario, si stima da 2 a 3 miliardi, per sostenere il patrimonio dopo il passaggio dei crediti deteriorati ad Amco e per le nuove perdite sui crediti. Bisognerà poi capire se ci sarà anche la separazione dalle cause legali, oggi pari a circa 10 miliardi tra richieste effettive e minacciate (di cui 3 miliardi solo dall’ex socio di controllo, Fondazione Mps), per cui potrebbe servire una norma ad hoc.
La cifra del credito fiscale, confermata al Corriere da fonti qualificate, è più bassa dei 3,7 miliardi di attività per imposte differite (Dta) nel bilancio dell’istituto guidato da Guido Bastianini; questo perché la proposta del governo prevede il pagamento di una commissione del 25%. In ogni caso sono aiuti alla banca senese visti con favore dal fronte Unicredit, anche se la posizione del gruppo del ceo Jean Pierre Mustier è di non interesse. L’aumento dovrebbe coprirlo il Tesoro ma deve ottenere l’ok dell’Europa, più facile di fronte a una fusione.
Resta da capire se la linea della vendita, sostenuta dal Pd e dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (che si dice vorrebbe chiudere entro l’anno), troverà l’appoggio dei Cinquestelle, sebbene divisi al loro interno. Giovedì 14 parlamentari hanno presentato un’interrogazione. «Vogliamo sapere se è vero che si sta confezionando un bel regalo a Unicredit a spese dei contribuenti», ha detto Laura Bottici (M5S). I pentastellati starebbero pensando a un emendamento che limita a 700 milioni la dote fiscale: un modo per allontanare Unicredit e far restare l’istituto senese da solo, oppure, come ha proposto la presidente della Commissione Banche, Carla Ruocco, in alleanza con una Amco dotata di licenza bancaria, o in polo con PopBari.
Il risiko bancario intanto si riaccende. Il ceo di Unipol Carlo Cimbri, primo azionista di Bper, ha aperto alle nozze con Banco Bpm, che farebbe nascere il terzo gruppo italiano da 300 miliardi di attivi: «Qualora (Banco Bpm) dimostrasse prioritario interesse verso questa ipotesi, penso che Bper non potrebbe che approfondirla con grande attenzione», ha detto Cimbri al Sole 24 Ore. E il ceo di Banco Bpm, Giuseppe Castagna, da tempo aperto a una fusione, ha accolto «con piacere» le parole di Cimbri. Un matrimonio non sarebbe però imminente: Bper deve chiudere l’integrazione delle filiali ex Ubi, mentre Banco Bpm sta riaprendo nuovi tavoli dopo che con Crédit Agricole non si sarebbe trovato un accordo sulla fusione.