Il pressing della Banca Centrale Europea potrebbe accelerare il processo di privatizzazione del Montepaschi o costare al Tesoro un ulteriore sforzo patrimoniale per puntellare l’istituto. Sono questi i due scenari che si profilano dopo che nei giorni scorsi Francoforte ha chiesto alla banca senese di fissare la tempistica dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi.
Ieri il consiglio di amministrazione avrebbe esaminato anche questo accanto ad altri temi tra cui il possibile rafforzamento della partnership con Anima. Del fabbisogno il board aveva iniziato a discutere alla fine dello scorso anno, presentando un capital plan per ripristinare gli indicatori regolamentari. L’obiettivo avrebbe dovuto essere raggiunto con una manovra in due fasi. La prima sarebbe stata l’emissione entro giugno di un bond AT1 dall’importo di circa 500 milioni. La seconda un aumento di capitale da almeno 1,5 miliardi in cui ovviamente il Tesoro avrebbe giocato un ruolo decisivo. Sul piano nei mesi scorsi si è aperto un lungo confronto con la Bce che ad oggi non ha però ancora autorizzato la strategia di Siena.
Al contrario Francoforte ha chiesto ulteriori dettagli, in particolare in merito alla tempistica che la banca dovrà seguire. Sembra infatti che la vigilanza spinga per un rafforzamento patrimoniale entro la fine dell’anno in modo che il deficit di capitale non emerga nel bilancio. Anche perché, nel frattempo, alla fine di luglio l’Eba comunicherà i risultati dello stress test in merito ai quali a Siena ha cominciato a circolare una certa apprensione. Se la tempistica caldeggiata dalla Bce venisse confermata (al momento Mps non avrebbe ancora fissato un calendario), quasi certamente il Tesoro spingerebbe per accelerare exit con l’obiettivo di definirla già entro la fine del mese di luglio. In questa direzione via XX Settembre ha iniziato a muoversi già da qualche settimana sollecitando l’interesse delle principali banche italiane per il dossier.
Come anticipato venerdì 4 giugno da MF-Milano Finanza, la strada maestra potrebbe articolarsi in due fasi distinte: in un primo momento via XX Settembre passerebbe in blocco la quota a un soggetto privato che, in un secondo momento, cederebbe sul mercato diversi perimetri dell’attivo sia per ottemperare alle richieste dell’Antitrust sia per rendere meno impegnativo il boccone. Qualcosa di simile insomma a quanto fatto lo scorso anno da Intesa Sanpaolo che, dopo la conquista di Ubi Banca, ha ceduto 650 sportelli del gruppo lombardo a Bper per ottemperare agli impegni presi con l’Antitrust.Se sulla soluzione pendono ancora molte incognite (a partire dalla disponibilità di un’ancora tiepidissima Unicredit a subentrare al Tesoro), il progetto è già finito nel radar di diversi intermediari, da Banco Bpm a Bper, dal Mediocredito Centrale alle Poste. Non è detto però che il deal vada in porto nei tempi previsti e tra gli advisor del Tesoro si sarebbe iniziato a ragionare su un piano B che preveda una proroga della privatizzazione. In tal caso però Roma dovrebbe puntellare il capitale di Siena senza avere un progetto di exit in mano.
fch