Arte, il tuo destino è la libertà

L’opera vive una vita autonoma rispetto all’esistenza di chi la crea. E conosce un solo tipo di logoramento: quello della materia
di Achille Bonito Oliva
Esiste una libertà procedurale: l’artista in quanto creatore deve muoversi fuori da ogni indottrinamento, da ogni servitù ideologica. Ciò vuol dire, però, che deve anche sapersi liberare dalla “libertà a tutti i costi”, mirando a sintetizzare i propri impulsi creativi in un risultato formale efficace. D’altro canto, gli ultimi 150 d’arte, quelli più direttamente coinvolti nella vicenda contemporanea, offrono un valido esempio. Si parte dalla costrizione sempre tendendo alla libertà. Serrata da presso dalla evoluzione tecnologica, l’arte cerca che cosa contrapporre ai mezzi di riproduzione meccanica, che sostituiscono l’occhio fisico e standardizzano il gesto. Con l’impressionismo l’arte apre un’ampia indagine intorno alla propria specificità, riqualificando, man mano, i propri mezzi espressivi. In questo movimento, parallelo al progresso scientifico, mi è parso di riconoscere una ideologia che ho voluto chiamare, evidenziandone il preteso evoluzionismo, “ darwinismo linguistico”. L’ottimismo sperimentale, parallelo all’ottimismo produttivo del capitalismo, segna la via delle avanguardie. Dagli anni Settanta, però, appare chiaro ai protagonisti dell’arte che la rimozione forzosa dei loro predecessori è una sorta di coartazione edipica. Con la transavanguardia si è avuta, così, la revisione della infantile fiducia nello sperimentalismo tecnologico avulso totalmente dalla memoria. Al termine del secolo scorso, dunque, l’arte è stata connotata dal massimo nomadismo, nello spazio e nel tempo, con il conseguente eclettismo stilistico. Nello spazio garantito da libertà risorta, si possono distinguere due indirizzi: transavanguardia calda, ove domina la manualità, con interesse prevalente per pittura e scultura; transavanguardia fredda, segnata dal “ progetto dolce”, le possibilità ordinatrici del linguaggio, segno di resistenza morale dell’artista contro il disordine del mondo.
L’arte o la moda?
Credo alla coerenza. L’arte, e la critica d’arte, non hanno bisogno di essere alla moda. Il mio primo libro, Il territorio magico (1971), volgendosi alla pittura in chiave antropologica, interessa già fenomeni extravisivi. Nel 1972, quando esce il mio primo saggio sul manierismo, già vedo in esso la matrice dell’arte contemporanea. Parlo dell’arte come metalinguaggio, descrivo la posizione obliqua dell’arte e dell’artista contro un mondo che non può essere trasformato dall’arte.
La parola arte ha significato cose differenti in differenti periodi storici. Quanto alla facoltà creativa, va detto che essa implica elementi complessi e contraddittori, che si definiscono, tuttavia, in fieri. L’espressione di un concetto presuppone i mezzi tecnico- linguistici necessari: d’altronde il concetto è sempre più di quanto si riesce ad esprimere. L’ispirazione, questo luogo superiore del pensiero creativo, mi pare indubitabile. Essa, inoltre, non può essere contenuta nel mestiere, che le dà una forma, ma è vuoto senza essa. Parimenti, una ispirazione senza mestiere rimane inespressa.
Eterno o transeunte?
L’arte mi appare come uno strano fenomeno extraterrestre sottoposto, nelle sue prove più alte, al solo logoramento della materia con cui è realizzato. Il presupposto evoluzionistico, il fondamentalismo sperimentale delle avanguardie, invece, consumavano l’arte nella storia. Convinto che l’arte fosse la sospensione del tempo in una forma, una forma tale da condensare tutto il passato e tutto il futuro, con la transavanguardia ho opposto a questo tipo di lettura il valore imperituro della forma. L’autonomia, la autosufficienza dell’arte è uno stato miracoloso. E il miracolo, evento naturalmente rarissimo, è proprio l’inspiegabile, l’eterno che ha preso forma in un luogo ed in un tempo determinati.
L’arte, la vita e l’etica
L’arte nel suo distacco finale dalla forma si emancipa dalla vita. Con quelle parole talora malintese, che « l’artista spesso è un errore biologico rispetto all’opera d’arte » volevo sottolineare che l’opera è intangibile oltre tutte le disgrazie che travolgono l’uomo: al di là della vita miserabile, del suo miserabile antisemitismo. Céline rimane un grande poeta. La poesia è sempre salva. Per questo, indipendentemente dalle tare dell’autore e del mondo, l’opera chiede un giudizio riferito ad essa sola: questa è l’autonomia dell’arte, la quale continuamente nel quotidiano manifesta lo spazio dell’eterno. Solo per questo l’opera, quale che sia il suo tempo e il suo autore ci mette di fronte ad uno spettacolo inusitato, alla “festa”, il giorno fuori della storia, il giorno del mito e del dio, nel quale per gli antichi tutto si rovesciava, nessuna regola usuale aveva più valore: la festa, il tempo santo rifonda il tempo mondano, come l’arte rifonda la vita. Riguardo l’etica, le norme di comportamento degli uomini, l’arte, così distante da tutto, non è né morale né immorale, ma amorale.
Ciò non vuol dire che non vi siano stati movimenti importanti – Fluxus è un esempio – volti all’etica. Nei casi migliori, però, si è evitato di confondere l’arte e la vita, l’artistico e l’estetico: anche l’ingresso dell’arte nel quotidiano presume la differenza tra i due campi, perché proprio in essa sta il tasso di contestazione che definiva quei movimenti.
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