Art Basel e la fabbrica dei sogni

Art Basel e la fabbrica dei sogni

Questa domenica sulla pagina dell’arte di Domani scrivo le mie considerazioni su Art Basel che si è tenuta la scorsa settimana. C’era attesa per questa fiera arrivata alla cinquantesima edizione in chiave minore per via della pandemia. Che non ci sarebbe stato pubblico asiatico e statunitense era previsto, com’era previsto che anche tra gli europei ci sarebbe state delle assenze. La fiera ha dichiarato sessantamila visitatori, non pochi a conti fatti, e da più parti sulla stampa e sul web è stato sottolineato che sono state effettuate vendite milionarie, strategia perfetta per evitare che si facciano analisi più accurate su come è cambiato e sta continuando a cambiare il mondo dell’arte. Mi limito qui a citare giusto un passaggio del mio articolo dedicato ai mercanti d’arte, ai sognatori e agli speculatori che si danno ogni anno appuntamento a Basilea.

Passeggiando tra gli stand incrocio un gallerista che partecipa alla fiera dalla sua fondazione. Chiacchieriamo – del resto si va ad Art Basel anche per fare incontri. Il discorso si fa confidenziale e lui, prendendomi sotto braccio e indicando il suo stand mi dice: “Vedi queste opere, sono tutte mie. Le ho comprate, esposte, conservate e adesso sono parte del mio magazzino. Molte di quelle che vedi qui in fiera non appartengono a chi le espone, ma a fondi di investimento, a banche, a speculatori. Io, a differenza di altri, l’arte continuo a comprarla, non lavoro in conto vendita”. L’espressione amareggiata traspare nonostante la mascherina. Il gallerista di cui parlo ha esposto alcuni tra i più grandi artisti del secondo dopoguerra, ma ha anche promosso dei giovani. Ora, il punto è che, considerati i costi che le gallerie devono affrontare ad Art Basel, che vanno dagli ottantamila ai duecentomila euro, pensate che abbia per loro un senso presentare un nuovo artista o dare spazio alla sperimentazione? Si potrebbe obiettare che una fiera non è una mostra d’arte, ma una rassegna di espositori che si riuniscono per vendere la loro merce. Art Basel però ha un meccanismo di selezione molto rigido proprio perché possa essere percepita come un grande evento culturale.

Vado a Basilea dal 1980 e la fiera si è sempre proposta come la più grande mostra temporanea d’arte moderna e contemporanea. Una settimana per vedere cosa accade nel mondo, e non solo per vedere cosa è in vendita nel mondo. Per questo sono stati istituiti comitati che non solo decidono chi può avere accesso agli spazi espositivi, tirando una netta linea di demarcazione tra chi può vantare il titolo di galleria di primo livello e gli altri. Questi comitati entrano anche nel merito delle opere esposte. Non lo fanno certo con tutti, ma lo fanno. Del resto ogni anno arrivano a Basilea circa mille richieste e ne vengono accettate da 250 a 270. Fatta una prima scrematura, a quelle che sono considerate gallerie di media importanza vengono fatte mille domande: quali mostre hanno fatto, quanti dipendenti hanno, quali opere vogliono esporre, e altro ancora. Le gallerie si sottopongono a questo esame perché la partecipazione ad Art Basel certifica un livello superiore. In questo contesto psicologico, prima ancora che le opere esposte ad Art Basel si vende un attestato di qualità. Ne parlo più approfonditamente nel mio articolo. Buona lettura!


Didascalie delle foto 

  • Tutte le foto che accompagnano questa newsletter sono mie e si riferiscono all’edizione di quest’anno di Art Basel. La prima è una veduta parziale dello stand della Fondazione Beyeler. In primo piano: Felix Conzalez-Torres, Senza titolo (Beginning), 1994, fili di perline. Sullo sfondo: Francis Bacon, In Memory of George Dyer, 1971, trittico, olio su tela.

 

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