“Di lui si è detto tutto e il contrario di tutto: genio del male, amico dei tiranni o scaltro denunciatore delle loro prepotenze per farli rovesciare dal popolo”, sottolinea il documentarista Marcello Simonetta in Tutti gli uomini di Machiavelli (Rizzoli). Se fosse stato su Facebook se la sarebbe passata male: pochi amici e molti ban. Di natura proteiforme e antropopessimista (“gli uomini sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno”, diceva, ed è dunque facile dedurre come valuterebbe l’odierna classe dirigente), sarebbe risultato a molti indigesto. L’intelligenza spaventa.
L’ambizione di questo saggi, frutto dell’analisi di centinaia di documenti, molti inediti, è restituire un “profilo umano, beffardo, tagliente, simpatico e appassionato” di Machiavelli attraverso il legame con 23 suoi contemporanei. Tra gli amici più fedeli spicca Francesco Vettori. Il loro rapporto dimostra che la competizione può trasmutare in complicità. Scelto nel 1507 al posto di Machiavelli come rappresentante della Repubblica fiorentina presso l’imperatore Massimiliano I, che minacciava d’invadere l’Italia, Vettori, digiuno d’esperienza diplomatica, si troverà in crisi. A Machiavelli, diplomatico navigato, verrà chiesto di soccorrerlo. In terra straniera diverranno intimi. Francesco è patrizio, Niccolò si è fatto da sé, ma hanno entrambi la battuta rapida e pungente e il gusto per la burla.
Anche le esistenze più impegnate abbisognano però di svago. È con Filippo Strozzi, banchiere, depositario del Comune di Firenze e della Camera apostolica, che Machiavelli condivide affinità letterarie ma anche il piacere dei bagordi e dei bassi istinti. Ricchissimo (Niccolò a sghei non se l’è mai passata bene), sposato con un’erede dei Medici, Filippo è seduttore insaziabile e Niccolò ci va a nozze. Inclini a trasgredire e rovesciare le regole sociali, animati da un’insofferenza all’autorità, i due se la intendono specie quando si tratta di donne.
Di alcuni soggetti invece Machiavelli, che a lettura terminata risulterà assai meno machiavellico di altri, non si fidava perché l’Italia di quel periodo era un intreccio alla Dinasty tra famiglie fiorentine e cardinalizie romane e francesi in un’eterna corsa al potere e al si salvi chi può. Tra loro c’è Piero Ardinghelli, notaio, cancelliere di Giuliano de’ Medici e del cardinale Giulio de’ Medici. Desideroso di presentare la bozza de Il principe, dedicato a Lorenzo de’ Medici, a Giuliano (voleva rientrare nelle loro grazie), Machiavelli temeva che se non gli avesse portato di persona il manoscritto Ardinghelli “si facesse onore di questa ultima mia fatica”. Fu poi una missiva di Ardinghelli, che mise nero su bianco il veto del cardinale Giulio “a non s’impacciare con Niccolò” (a non assumerlo), a far sfumare la ripresa della sua attività politica.
Anche il letterato Filippo de’ Nerli, di cui sempre si legge “Machiavelli lo nominò suo esecutore testamentario”, non esce intonso. De’ Nerli definisce Niccolò “amicissimo” ma getta ombre sul suo ruolo di cattivo maestro nel circolo culturale degli Orti Oricellari, alimentando dubbi sulla sua responsabilità nell’organizzazione della rivolta del 1522 contro i Medici. Senso d’inferiorità o invidia? Se a Machiavelli spediva missive dense di complimenti, al di lui cognato Francesco del Nero diceva il contrario, criticandolo per la liaison extraconiugale con la cortigiana Barbara Salutati. Sparlare e moraleggiare è un’abitudine senza tempo.
Simonetta chiude la carrellata dei satelliti intorno al buco nero Machiavelli con la passione romantica che nutrì per la Salutati, appunto, conosciuta per cultura e capacità canore, e incontrata quando aveva ormai 50 anni. Lui la venerava, in barba alla moglie Marietta Corsini che partorì dieci figli, mentre gli amici, lo testimoniano varie epistole, lo sfottevano à gogo. Machiavelli le dedicò sonetti, madrigali e canzoni, ma, sorprendente!, la mise a conoscenza del cifrario che regolava la comunicazione con Vettori e Strozzi, consiglieri di Papa Clemente VII. Se non è amore questo…