Ai piedi dell’arte. Il Ferragamo di Guadagnino

Non esistono piedi brutti, esistono scarpe brutte”. E se lo dice Salvatore Ferragamo c’è da credergli: calzolaio bambino, calzolaio delle star, calzolaio dei sogni. Un’epopea made in Italy che il regista Luca Guadagnino riconsegna allo schermo: il docufilm Salvatore – Shoemaker of Dreams è Fuori concorso alla Mostra di Venezia e verrà prossimamente distribuito da Lucky Red.

Dal desiderio infantile covato a Bonito, Irpinia, della cui bontà convincerà i genitori riluttanti confezionando nottetempo le scarpe per la Prima Comunione della sorella, all’apprendistato a Napoli; dal viaggio in America, con “una pesante valigia, due camicie, un cambio di biancheria, un paio di calzini, salame e formaggio” e la terza classe nauseabonda dello Stampalia mollata a caro prezzo per la seconda, al successo a Hollywood, dove è ai piedi di Lillian Gish, Gloria Swanson, Mary Pickford, Douglas Fairbanks, Rodolfo Valentino, e non è sottomissione, ma successo. Il ritorno in Italia, la scelta di Firenze, il fallimento, l’acquisto di Palazzo Spini Feroni, un’avventura artigianale e imprenditoriale insieme che sconfina nella leggenda. Per Guadagnino, Ferragamo è la risposta a una teoria di domande, “cosa è il genio? Come nasce un sistema, che sia il cinema o la moda? E l’ossessione furiosa di una ricerca costante di idee e creazione come si sposa con la tradizione e i valori della famiglia?”. In sessantadue anni (1898-1960) appena, Salvatore ha messo a sistema l’intuizione, standardizzato il genio, coniugato al futuro la tradizione. Il segreto? “Ho dato la comodità alle donne del mondo intero, prima di tutto. È sulla comodità che ho costruito la mia immaginazione, tutti i modelli che sognavo”. Il progetto nasce nel 2017: Guadagnino legge l’autobiografia Salvatore Ferragamo. Il calzolaio dei sogni (Electa, nuova edizione), ne è avvinto, contatta gli eredi, si mette a lavorare con la Fondazione e il Museo, nonché la sceneggiatrice, la giornalista di moda Dana Thomas, e il documentario prende forma, scontando il controllo della famiglia – figli e nipoti, parlano tutti, non sempre con qualcosa da dire – ma beneficiando dell’archivio prezioso, e dunque di registrazioni d’epoca, interviste radiofoniche rilasciate in Australia e alcuni capitoli del memoir recitati dallo stesso autore.

Voce narrante di Michael Stuhlbarg, talking heads illustri, da Martin Scorsese alla costumista Deborah Nadoolman Landis, il caso Ferragamo è analizzato anche da celebri colleghi quali Manolo Blahnik, “determinazione e non ambizione, un ragazzo di bottega che ha fatto carriera così” e Christian Louboutin, “arrangiarsi è stata la sua più grande invenzione”. L’uomo che sussurrava ai piedi, ricambiato: “Amo i piedi, loro mi parlano”. L’artefice non solo di un’inedita arte calzaturiera, ma di un nuovo modo di intendere la calzata, riconoscendo l’importanza dell’arco plantare: centinaia i brevetti depositati, altrettante le dive servite, da Marilyn Monroe, che il doc curiosamente trascura, a Sophia Loren, da Joan Crawford ad Anna Magnani, senza dimenticare i registi con cui collabora, Cecil B. DeMille per I Dieci Comandamenti e Il re dei re, D. W. Griffith per La rosa bianca e Raoul Walsh per Il ladro di Bagdad. E, ovviamente, Scorsese, che all’uopo cita Bob Dylan, “non trovi te stesso, ma crei te stesso”, e butta un occhio in patria: “Gli Usa sono ancora in creazione, e oggi viviamo la prova più grande dalla Guerra Civile”. Al fianco di Salvatore è stata Wanda Miletti, la mater familias scomparsa nel 2018, a lei con una battuta il compito di sfrondare l’agiografia e illuminare di senso e sentimento: “Uomo buono come il pane. Anche se duro. Buono”.

Sempre fuori concorso, Guadagnino ha presentato a Venezia il cortometraggio Fiori, Fiori, Fiori!, resoconto del suo viaggio nella natia Sicilia a trovare gli amici, tra cui Claudio Gioè, dopo il lockdown: è piccolo, intimo, libero. Sono tante le vie del cinema. Perfino estatiche, in cima all’Etna. E chissà Guadagnino quali predilige.

 

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