L’INCONTRO AL CREMLINO
Giuseppe Conte o è molto bravo o è molto fortunato. A Mosca avrebbe potuto facilmente inciampare. Incassa un dividendo politico importante: l’appoggio di Mosca sulla Libia e l’assicurazione di partecipazione di Mosca «a livello elevato» alla Conferenza di Palermo. Conferma che l’Italia non ama le sanzioni ma nulla di quanto ha detto gli può essere addebitato come rottura del fronte a Bruxelles, Berlino o Washington. Il presidente russo e la coreografia della conferenza stampa gli danno una mano. Prima una frotta di accordi industriali e di strette di mano trasmettono il messaggio: Russia e Italia sono in business. Poi un Vladimir Putin notarile lo rafforza snocciolando interscambio, energia, cifre e contenuti di una cooperazione bilaterale «in tutte le direzioni», aggiungendovi cultura e turismo. Solo alla fine offre un barlume politico per dare il sostegno all’Italia sulla Libia e menzionare la Siria dove il coinvolgimento della comunità internazionale è benvenuto – per l’assistenza umanitaria. Le redini politiche, per Putin, rimangono al «formato di Astana» (Russia, Turchia, Iran); un po’ diverso da quello che dirà Conte, che l’Italia si affida alla regia Onu, ma sono sfumature. La conferenza registra due leader in perfetto accordo anche dove riconoscono divergenze (Ucraina). Intendiamoci. Quello che si dice in conferenza stampa è spesso alquanto diverso dalla conversazione a porte chiuse (chi scrive ne è stato spesso testimone). È ugualmente significativo perché ne rappresenta il risultato visibile. Insieme agli accordi che, in questo caso, non sono mancati. Pur con linguaggio vago, il presidente del Consiglio affronta la questione ucraina, riaffermando il sostegno all’accordo di Minsk e al formato Normandia (Ucraina, Russia, Germania, Francia), senza promesse sulle sanzioni che non potrebbe mantenere. Butta lì, quasi casualmente, una telefonata con Trump, tanto a ricordare il buon rapporto con Washington. Tocco elegante, come pure il «non sono venuto a vendere titoli di Stato alla Russia» in risposta alla scontata domanda. La cordialità dell’incontro poggia tuttavia su sabbie mobili se Giuseppe Conte e Vladimir Putin non hanno giocato a carte scoperte, mettendo sul tavolo quello che la Russia può fare per l’Italia e, viceversa, quello che l’Italia può fare per la Russia. Nei rapporti internazionali, specie bilaterali, è il «do ut des» è fondamentale. Questo vale certamente per le relazioni italo-russe che non sono incardinate in un condominio di più ampio respiro come l’Unione europea o la Nato; Roma e Mosca non vivono sotto lo stesso tetto. Intanto non è un rapporto fra eguali. Non più superpotenza, la Russia resta una potenza globale. Questo elemento basta per farne un interlocutore importante per una media potenza regionale qual’è l’Italia. L’aiuto che Roma può attendersi da Mosca è tuttavia limitato. In Libia, certo, ma lì contano ancora di più Egitto e Francia. Sul piano economicocommerciale Mosca è un partner importante ma non quello che risolve i problemi principali del nostro Paese: crescita, occupazione – e debito. L’Italia offre alla Russia contributi di alta tecnologia in grandi progetti energetici e industriali, con nessuna condizionalità politica sanzioni permettendo. Ma soprattutto è una sponda politica sul versante europeo e occidentale, in un momento di grande isolamento di Mosca (largamente autoinflitto: pensiamo all’avvelenamento al gas nervino di Salisbury). Una voce amica nel deserto, visto che un’altra, quella di Trump, è costretta a tacere. Putin ha tutto l’interesse a tenersela stretta, senza troppo domandare. Paradossalmente, in questo momento, l’utilità marginale dell’Italia per la Russia è superiore a quella della Russia per l’Italia. Se, a porte chiuse, Giuseppe Conte ha saputo giocare accortamente questa carta, la visita è stata un successo. Se pensava a farne un’alternativa al difficile dialogo con Bruxelles, ha fatto un buco nell’acqua.