Abramovi?, voce alla storia cinquant’anni di viaggio.

Corpi nudi, ballerini e video: una vita in mostra Nell’audioguida il racconto della stessa artista
GAIA RAU
Una guida d’eccezione. Sarà la voce stessa di Marina Abramovi? ad accompagnare il pubblico, da domani al 20 gennaio a Palazzo Strozzi, in quella che sin dalle prime sezioni, ospitate negli spazi sotterranei della Strozzina, più che come una mostra si presenta come un viaggio.
Perché Marina Abramovi?. The Cleaner, prima e più completa retrospettiva italiana a cura di Arturo Galansino e Lena Essling e organizzata dall’istituzione fiorentina in collaborazione con Moderna Museet di Stoccolma, Louisiana Museum of Modern Art e Humlebæk e Bundeskunsthalle di Bonn, è proprio questo: un’immersione, intima ed emozionante, nel mondo e nei cinquant’anni di carriera di un’artista che, come forse nessun altro prima di lei, ha scelto di donarsi completamente al proprio pubblico, abbattendo qualsiasi confine fra vita personale e artistica. Ma le nuove audioguide, di ultima generazione, sono solo uno dei tanti sforzi di una macchina organizzativa e allestitiva riuscita a superare brillantemente la prova più difficile: rendere la complessità di una forma d’arte, quella performativa, di cui la Abramovi? è ed è stata madre e maestra, per sua natura «vivente e basata sul tempo», e dunque teoricamente irripetibile e non storicizzabile. La soluzione, è noto, l’ha trovata lei stessa e ben prima dell’evento fiorentino, ideando un metodo di riesecuzione che prevede la formazione di nuovi performer attraverso seminari, condotti dalla storica collaboratrice Lynsey Peisinger, in cui il processo di preparazione passa anche attraverso il silenzio e il digiuno. Sono dunque trentacinque giovani artisti e ballerini in carne ed ossa, provenienti da tutta Italia e dal mondo e recentemente al centro di una polemica per i loro cachet giudicati degradanti dalla Cgil — ma il cui trattamento, replica Galansino, sarebbe invece «in linea con quelle di iniziative dello stesso tipo tenute in passato e con le norme vigenti in Italia» — il vero valore aggiunto della mostra. Disseminati nelle sale dell’edificio rinascimentale, li vediamo muti protagonisti di opere celeberrime come Imponderabilia, ideata nel 1977 per la Galleria comunale di arte moderna di Bologna, in cui Marina e Ulay, per dodici anni suo compagno di vita e arte, obbligavano i visitatori a insinuarsi nel passaggio angusto creato dai loro corpi nudi e fronteggianti, costringendoli a scegliere chi dei due guardare negli occhi in una situazione tanto imbarazzante. O impegnati a pulire e sfregare insistentemente ossa di animali, come la Abramovi? stessa fece per sei giorni consecutivi, per quattro ore al giorno, nel 1997 a Venezia, quando Balkan Baroque, straniante rituale di purificazione per le stragi nei Balcani, vinse il Leone d’oro alla Biennale.
A circondare il lavoro dei performer, oggetti di scena, reperti personali e set ricostruiti che si trasformano in opere interattive a se stanti: ecco allora che il visitatore viene invitato a sedersi allo stesso tavolo davanti al quale, al MoMA di New York, Marina restò immobile per tre mesi, sette ore al giorno, in The artist is present, la sua performance probabilmente più famosa, diventata un film nel 2012. O a sdraiarsi sul Bed for human use in legno e quarzo realizzato nel 2015, in silenziosa attesa «che l’energia cominci a scorrere». E poi tanto, tantissimo materiale audiovisivo: foto e video che immortalano l’artista intenta ad affrontare le sue sfide, ancora una volta umane e professionali a un tempo, più pericolose, provocatorie, disturbanti. Una per tutte Rhytm 0, portata in scena nel 1974 alla Galleria Studio Morra di Napoli, in cui inerte offriva al pubblico la possibilità di usare su o contro di lei settantadue oggetti diversi, da una rosa a una pistola, fino all’eclatante separazione con Ulay sulla Muraglia Cinese nel 1988, diventata essa stessa mediaticissima performance.
Cento in totale le opere al centro della retrospettiva, accompagnata da un catalogo edito da Marsilio e organizzata secondo un percorso cronologico che dagli esordi, pittorici, della Abramovi? a Belgrado, copre le prime performance, molte delle quali realizzate in Italia, la fase del sodalizio con Ulay e infine la nuova vitalità degli anni Duemila.
Fonte: La repubblica, www.repubblica.it/